domenica 21 agosto 2016

LA RABBIA


La rabbia è conosciuta fin da circa il 2000 a.C. La prima testimonianza scritta della condizione si trova nelle "Leggi di Eshnunna", scritte in Mesopotamia intorno al 1930 a.C., che impongono al proprietario di un cane che mostra i sintomi di prendere misure preventive contro i morsi, erano state stipulate delle punizioni per le persone proprietarie di un “kalbum segum” (un cane rabbioso). Il virus della rabbia compare pure nel “Sushruta Samhita” una guida medica indiana databile 400 anni prima della venuta di Cristo: esso identifica correttamente molti aspetti della malattia: il morso da parte di un animale causa all'uomo la perdita delle sue facoltà umane.

Omero descrisse Ettore come un uomo con un irrefrenabile coraggio marziale dovuto a qualcosa che va oltre alla stessa rabbia come emozione, ma più di tutti il personaggio di Lyssa (“lycos”-“lupo”) descritto come crudo, terrificante, violento e “animalescamente” distruttivo nei confronti degli altri. Nei primi 2 secoli dopo Cristo l'antica tradizione medica Greco-Romana iniziò a cercare di capire questa malattia: il primo fu Cornelio Celso il quale nel suo “De Medicina” collegò il sintomo dell'idrofobia alla malattia della rabbia.

Dopo circa 100 anni emerse la scuola dei “metodisti”, un gruppo di menti scientifiche i quali non solo migliorarono la comprensione della rabbia, ma quella di molte altre malattie. Il fondatore della scuola, “Temisone”, e un suo discepolo erano famosi per esser sopravvissuti all'attacco e al morso di un cane rabbioso. Il primo vero metodista che parlò di rabbia fu “Sorano” il quale riconobbe che il contatto con l'animale poteva essere l'unico motivo dell'idrofobia. Descrisse in oltre alcuni sintomi come il polso irregolare, la febbre, l'incontinenza, il tremore e l'involontaria eiaculazione.

Nel medioevo il concetto della trasmissione di una malattia da parte degli animali era ancora oscuro. Le uniche due malattie di cui avevano ipotizzato il contagio tramite un animale erano la rabbia (dai cani) e il carbonchio (dal bestiame). La trasmissione di queste malattie da animale a uomo si è velocizzata a causa dell'aumento dell'urbanizzazione e dell'agricoltura e nel 15° secolo un terzo fattore ha portato le persone a contatto con le più gravi malattie della storia: i viaggi nell'oceano.

Durante il medioevo, i primi veri cambiamenti riguardo alla comprensione della rabbia si hanno grazie al mondo islamico. I tre principali esponenti della medicina islamica furono: Al Razi, Avicenna e Ibn Zuhr. Il primo ebbe personali esperienze di contatto con malati di rabbia: “c'erano con noi in ospedale una sorta di uomo che abbaiava la notte e poi morì. Un altro non beveva acqua, ma quando dell'acqua gli veniva portata, non ne aveva paura,ma diceva: “puzza, e lo stomaco di gatti e cani è la dentro”. Poi un altro paziente quando vedeva l'acqua rabbrividiva e tremava finché non gli era portata via”. Egli preferiva trattare il morso cauterizzandolo e scarnificandolo. Ibn Zuhr successivamente scrisse un trattato chiamato “Sui mali furiosi”, ma i veri progressi ci furono con Avicenna, il quale nel suo quarto libro scrisse che secondo lui il caldo e il freddo aiutavano a fomentare la malattia nei cani. Inoltre egli attribuì la causa del contagio della malattia al consumo di acqua e carne infetta.

Successivamente durante i giorni dell'inquisizione, verso la fine del XV secolo, una misteriosa confraternita di curatori girava di città in città, offrendo protezione contro la rabbia. Si facevano chiamare i “Saludadores”, dotati di poteri donati direttamente dai santi. I Saludadores potevano annullare quel morso nocivo spesso attraverso la loro saliva o il loro respiro. Naturalmente l'inquisizione cominciò a considerarli eretici e l'ordine ufficiale fu quello di distruggere questa confraternita. Alcuni membri furono catturati e sotto tortura confessarono che si trattava di una enorme frode.

La rabbia sembra abbia aver avuto origine nel Vecchio Mondo, la prima diffusione tra gli animali nel Nuovo Mondo si verificò a Boston nel 1768. Iniziando da lì, nel corso degli anni si spostò in diversi altri Stati, nonché alle Antille francesi, fino a diventare comune in tutto il Nord America.

Nel XIX secolo, la rabbia era considerata un flagello per la sua prevalenza. In Francia e in Belgio, dove si venerava Sant'Umberto, la "chiave di Sant'Umberto" veniva riscaldata e applicata per cauterizzare la ferita. Inoltre, la credenza popolare faceva sì che i cani venissero marchiati con la chiave nella speranza di proteggerli dalla rabbia. La paura della malattia era quasi irrazionale, per via del numero insignificante dei vettori (per lo più cani rabbiosi) e l'assenza di qualsiasi trattamento efficace. Non era raro che una persona morsa da un cane, ma che era solo sospettato di essere rabbioso, si suicidasse o fosse uccisa da altri. Ciò permise a Louis Pasteur, a partire dal 1885, ampie opportunità di provare trattamenti post-esposizione. Nei tempi antichi era praticato il fissaggio del frenulo linguale, una membrana mucosa, che veniva tagliata e rimossa, in quanto si pensava che fosse all'origine della malattia. Questa pratica è cessata con la scoperta della vera causa della rabbia.

Nei tempi moderni, la paura della rabbia non è diminuita e la malattia e i suoi sintomi (soprattutto il delirio) hanno ispirato numerose storie di zombie o a tema simile, spesso raccontando di un virus della rabbia reso più potente e che trasforma gli esseri umani, con rabbia omicida o malattia inguaribile, determinando un devastante pandemia diffusa.

Durante l'epoca Greco-Romana, Celso ipotizzò vari rimedi per il trattamento del morso: oltre alla cauterizzazione, l'applicazione di sale e cetriolini in salamoia nella ferita. Bisognava inoltre mandare il paziente in un bagno turco in maniera tale da farlo sudare fino al limite della sopportazione per permettere alla ferita di espellere il veleno della rabbia. Dopo di ciò il dottore doveva applicare del vino sul morso.
Plinio il giovane fu il primo ad ipotizzare l'utilizzo dell'animale per curare l'uomo: inserire nella ferita le ceneri dei peli della coda del cane che ha inflitto la ferita; la stessa testa dell'animale a volte veniva ridotta in cenere e applicata sulla ferita.
Lo stesso Plinio ipotizzò una cura per l'idrofobia : bisogna mettere il paziente in zone speciali con aria "buona", massaggiare gli arti e coprirlo con vestiti puliti e caldi nei punti affetti da spasmi.
La cura più calzante probabilmente la offre Celso: bisogna buttare il paziente in acqua e se egli non può nuotare affonderà e berrà acqua, mentre se può nuotare deve essere spinto sott'acqua finché non ne berrà un po'. Così la paura e la sete verranno sconfitte contemporaneamente.

La Rabbia è una zoonosi ad alta letalità (ovvero i soggetti colpiti spesso muoiono) provocata da un virus.
Come tutte le zoonosi, la rabbia si può trasmettere dagli animali all'uomo.
Quando compaiono i sintomi della Rabbia ormai il soggetto colpito (uomo/animale) è destinato a perire, in quanto i danni provocati dal patogeno sono irreversibili.
La rabbia colpisce praticamente tutti i vertebrati omeotermi ("a sangue caldo"), anche se generalmente sono gli animali con un apparato dentario ben sviluppato (cani, volpi) ad essere più a rischio, in quanto la malattia si trasmette principalmente attraverso il morso.



Il virus che provoca la Rabbia è un virus a RNA, che fa parte dell'ordine dei Mononegavirales; appartiene alla famiglia dei Rhabdoviridae e al genere Lyssavirus. Di questo si riconoscono 7 genotipi (distinti in base alla sequenziazione genetica) e 4 sierotipi (distinti in base alla siero neutralizzazione, ovvero con l'utilizzo di anticorpi). Il sierotipo più diffuso in Europa è il tipo 1 (detto virus strada), che colpisce sia carnivori domestici che selvatici.
Il virus responsabile della Rabbia  resiste poco al di fuori dall'ospite (animale colpito); infatti risulta essere sensibile a diversi solventi, ai detergenti dei lipidi e ai raggi solari. Inoltre ci sono diversi disinfettanti che possono inattivarlo, tra cui i sali quaternari d'ammonio, iodofori al 7% e saponi all'1%; questi prodotti si possono applicare direttamente anche sulle ferite come primo intervento dopo un morso di un animale sospetto.

La trasmissione del virus avviene principalmente attraverso il morso dell'animale infetto a quello sano, in quanto il patogeno si localizza nelle ghiandole salivari e perciò viene eliminato con la saliva.
Altre modalità di trasmissione della malattia (anche se rare) possono essere rappresentate dal contagio mediante aerosol (possibile in ambienti chiusi e con alta concentrazione del virus), o attraverso la via orale (in questo caso sono necessarie delle microlesioni nella bocca in quanto il virus, se giunge nello stomaco, viene inattivato dal pH acido).

La Rabbia è considerata una malattia a diffusione mondiale. Risulta assente ai poli ed in Paesi come Regno Unito, Finlandia, Svezia, Grecia, Norvegia, Svizzera, Danimarca, Spagna, Portogallo e Italia (anche se nel Veneto, Friuli e Trentino sono stati trovati, recentemente, alcuni casi di Rabbia).
Potenzialmente il virus può colpire tutti gli animali a sangue caldo (mammiferi e uccelli), ma a seconda della specie animale coinvolta, vengono distinti due diversi cicli epidemiologici (di diffusione) della Rabbia: ciclo urbano e ciclo silvestre.
Il ciclo urbano si identifica tra gli animali domestici (quali gatto, ma in particolar modo il cane) e trova nel fenomeno del randagismo (cani che vivono in strada e spesso vengono in contatto anche con animali selvatici) la principale fonte di conservazione e trasmissione del virus.
Il ciclo silvestre, invece, vede coinvolte nella trasmissione del virus diverse specie animali, a seconda dell'area geografica interessata: in Europa abbiamo principalmente la volpe (seguono roditori e pipistrelli), che mantiene attivo il ciclo della Rabbia silvestre perché trasmette il virus prima che compaiano i sintomi, in quanto la malattia ha un lungo periodo d'incubazione (periodo che intercorre tra il contagio e la comparsa dei sintomi); la volpe, inoltre, è abituata a compiere ampi spostamenti.
La mangosta rappresenta l'unica riserva di Rabbia nell'area dei caraibi.
In Russia e medio oriente il serbatoio è rappresentato dal lupo, negli USA dal coyote, in centro/nord America dai pipistrelli e nel sud America dai vampiri; in Africa, infine, l'animale serbatoio della Rabbia è lo sciacallo.

L'animale infetto, tramite la morsicatura, trasferisce con la saliva il virus all'animale sano che viene morso.
Generalmente, il punto di penetrazione del virus (corrispondente al punto in cui si viene morsi) è un arto, o comunque una zona ricca di muscoli dove c'è, per breve tempo, un'iniziale replicazione del patogeno.
Successivamente il virus della Rabbia migra per via meccanica, attraverso le strutture che innervano il muscolo colpito (i prolungamenti dei neuroni che nel loro insieme formano il nervo), per raggiungere il midollo spinale. Da qui, dopo essersi ulteriormente replicato, raggiunge l'encefalo. Questa fase dell'infezione è definita migrazione centripeta del virus, perché dalla periferia (punto di penetrazione), si porta a livello centrale (cervello).
A questo punto inizia la cosiddetta migrazione centrifuga: ovvero il virus della Rabbia, che si è localizzato nell'encefalo, tramite il nervo che termina sulle ghiandole salivari, le raggiunge, replicandosi massivamente. Giunti a questa fase, l'animale, anche se non mostra sintomi evidenti, può già eliminare il virus della Rabbia con la saliva.
Per concludere, il virus si diffonde poi a tutto il sistema nervoso centrale, determinando fenomeni paralitici che porteranno a morte per asfissia (impedimento delle normali funzioni respiratorie), conseguente a paralisi respiratoria.

Dal 1997 e fino all’ottobre 2008, l’Italia è stata considerata libera da rabbia (rabies free). Successivamente, secondo i dati dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (IZSVe), dal 2008 a febbraio 2010, sono stati diagnosticati centinaia di casi di rabbia in animali in Friuli-Venezia Giulia, in Veneto e nella Provincia Autonoma di Trento. I casi di rabbia diagnosticati sono da mettere in stretta correlazione con la situazione epidemiologica della rabbia silvestre nella vicina Slovenia.

Nel corso del 2009 e inizio 2010 l’epidemia si è diffusa in direzione Sud-Ovest, comprendendo il Friuli Venezia Giulia, il Veneto in particolare la provincia di Belluno, fino ai casi più recenti riscontrati nella provincia di autonoma di Trento.

La prevalenza dei casi ha interessato gli animali selvatici, per lo più le volpi, che rappresentano il principale serbatoio della malattia, ed alcuni caprioli e tassi. Sono stati riscontrati positivi anche animali domestici tra cui cani, gatti, un cavallo ed un asino.

In generale, la letteratura scientifica disponibile è concorde nell’affermare che il controllo della rabbia si identifica nella rigorosa attuazione degli interventi codificati da norme di polizia veterinaria, specificamente mirati alla protezione dell’uomo nei confronti della malattia.

La prevenzione nei confronti della rabbia si basa sulla vaccinazione preventiva degli animali domestici, sulla lotta al randagismo e su altri provvedimenti finalizzati a impedire contatti a rischio con le popolazioni selvatiche.

Per quanto riguarda la prevenzione della rabbia negli animali è importante :
la vaccinazione antirabbica (obbligatoria o volontaria a seconda del dato epidemiologico) degli animali domestici, la lotta al randagismo e l’attuazione di provvedimenti coercitivi (cattura ed eventuale abbattimento)  al fine di realizzare, attorno all'uomo, un anello di protezione costituito da animali domestici non recettivi e, quindi, incapaci di trasmettere l'infezione (prevenzione del ciclo urbano della malattia); la vaccinazione orale dei carnivori selvatici, volpi in particolare, introdotta da più di un decennio in alcuni paesi europei.

A seguito di tale misura è stato osservato un significativo decremento dell'incidenza della malattia, rilevato attraverso piani di sorveglianza sul serbatoio selvatico (prevenzione e controllo del ciclo silvestre della malattia).

Nell’uomo, la prevenzione della malattia si basa sulla vaccinazione preventiva per chi svolge attività professionale “a rischio specifico” (veterinari, guardie forestali, cinovigili, guardie venatorie ecc.), sulla vaccinazione pre-contagio e sul trattamento vaccinale post-esposizione che sarà considerato di volta in volta in funzione della tipologia di esposizione verificatasi.

Le linee guida Oms individuano tre tipologie di esposizione:
- contatto di una superficie cutanea intatta con animali, con le loro mucose o con il loro cibo (se la ricostruzione dei fatti è attendibile, non c’è esposizione e quindi non è necessaria una profilassi);
- graffi minori o abrasioni senza sangue o leccate di animali su pelle tagliata e piccoli morsi su pelle abrasa (si consiglia sola la vaccinazione), morsi singoli o multipli transdermici, graffi o contaminazione della membrana della mucosa con saliva o contatti sospetti con pipistrelli (in questo caso si devono somministrare sia le immunoglobuline, che il vaccino).

Le cure post-esposizione per prevenire la rabbia includono la pulizia e la disinfezione della ferita o dei punti di contatto e la somministrazione precoce della vaccinazione (se necessaria), senza aspettare i risultati dei test diagnostici di laboratorio e, comunque, senza ritardi per l’osservazione dell’animale sospetto. Per quanto riguarda le immunoglobuline, non ci sono limiti di tempo alla somministrazione. La maggior parte delle immunoglobuline deve essere somministrata in profondità nella ferita, mentre la parte restante, se avanza, dovrebbe essere iniettata in un altro sito muscolare aggiuntivo lontano dalla ferita. L’Oms raccomanda, infine, l’osservazione dell’animale sospetto per 10 giorni, perché i primi sintomi nei cani e nei gatti non sono molto specifici. Francia, Spagna e Inghilterra raccomandano 14 giorni di osservazione.

All'insorgenza dei sintomi neurologici la rabbia non è curabile.

La diagnosi clinica della rabbia non è affidabile. La diagnosi definitiva può essere fatta solo con l’esame di laboratorio. La diagnosi post-mortem è effettuata sul SNC e comprende come test di elezione l’immunofluorescenza diretta (FAT) e l’isolamento del virus in coltura cellulare (RTCIT). La RT-PCR e le altre tecniche di amplificazione sono di solito utilizzate come test di conferma.

La diagnosi intra-vitam è utilizzata spesso nell’uomo a partire da saliva, urina, liquido cefalorachidiano e biopsia cutanea effettuata sulla nuca e prevede tecniche di FAT, RTCIT e RT-PCR. L’ulteriore caratterizzazione dell’isolato virale avviene mediante sequenziamento o l’utilizzo di anticorpi monoclonali.



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