sabato 2 aprile 2016

VIVERE NELLA SPORCIZIA



Le "cose" prendono il sopravvento sulla persona, la casa inizia ad essere sempre più sporca, i piatti ristagnano nel lavello magari per più di un giorno... il problema è conclamato.
Meglio quindi prestare un po' di attenzione: vivere nella baraonda può passare dall'essere molto piacevole ad indicare una persona con poca chiarezza interiore e poca voglia di relazionarsi con chi gli sta vicino. Un minimo di regole nel riporre oggetti e indumenti si rifletterà dentro di noi magicamente, rendendo più limpide le idee e migliorando i rapporti sia con gli altri che con noi stessi.

Si chiama “disposofia” il disturbo mentale che porta all’accumulo, una sottospecie dei disturbi ossessivo-compulsivi.

Un disturbo mentale che solo di recente è stato riconosciuto come tale, mentre fino a qualche anno or sono veniva malamente tollerato dai familiari che consideravano il genitore, il parente o l’amico un inguaribile disordinato, spesso giudicandolo pigro e incapace di tenere pulita e in ordine la propria casa.

In realtà si tratta di una malattia mentale, che in Italia ha faticato più che negli USA ad emergere a causa della tendenza , tutta italiana, al nascondimento, alla vergogna, al voler lavare i panni sporchi in famiglia. Questi atteggiamenti, uniti all’ignoranza sull’argomento, hanno portato il disturbo ad essere poco conosciuto e questi malati sono stati sempre considerati non come persone malate bisognose di aiuto, ma colpevolizzate tout court.

I parenti spesso peggiorano la loro condizione, perché,  pensando di fornire aiuto, si limitano, al massimo, a far ripulire le stanze, a gettare via gli accumuli di oggetti, quasi sempre all’insaputa dei diretti interessati, che, al loro rientro a casa, si sentono completamente perduti fino all’orlo di un’angosciante disperazione, nel non trovare più nulla di quelle cose, per altri insignificanti, ma che per loro rappresentavano il pur labile filo di collegamento alla realtà, grazie al legame che ogni oggetto rappresenta per loro dal punto di vista affettivo. Che si tratti di  vecchi barattoli vuoti, o di oggetti nuovi ancora con l’etichetta attaccata, o di stracci inutili , o di pile di giornali vecchi e polverosi, negli anni il ciarpame ricopre i mobili, le suppellettili, la cucina, il bagno, il pavimento, tanto da non consentire una vita normale . Il cibo non si cuoce più perché il fornello è inagibile, non si dorme più nel letto perchè sovraccarico di cose che non è permesso spostare, non esistono tavoli liberi per cui si mangiano scatolette in piedi, non si trovano gli oggetti di uso e consumo perché sepolti sotto sacchetti e immondizia e, se in casa vivono animali, si sta anche in mezzo agli escrementi e a un olezzo insopportabile.

L’accumulo compulsivo non è una forma di psicosi , come si pensava fino a un decennio fa – ma una sottospecie – afferma oggi la psicologia –  del disturbo ossessivo compulsivo. Come dire che questi malati “non possono fare a meno” di continuare a raccattare cose, nuove o usate, di raccogliere avanzi e oggetti rotti dai cassonetti dell’immondizia, di recuperare o perfino acquistare oggetti astrusi e inutili. Agli oggetti i malati legano le proprie sicurezze, la propria identità disastrata: anche se sono solo dei rifiuti, per loro assumono un significato affettivo fondamentale, che non può essere smantellato con un trasloco o una disinfestazione.

La patologia pare abbia una propria base fisiologica in una variazione nella conformazione del cervello in chi ne soffre. Ma non tutti coloro che presentano tale diversa conformazione si ammaleranno, perché sono determinanti i fattori ambientali più o meno favorevoli nel rendere conclamata la malattia. Quando ciò accade, se il disturbo non viene riconosciuto è  trascurato per anni,  i pazienti scivolano verso una progressiva condizione di abbandono e di trascuratezza, finchè sarà troppo tardi per apportarvi un rimedio. Non alla casa, quanto alla mente del poveretto.

E’ pero’ fondamentale un intervento di equipe: lo psichiatra a livello farmacologico, lo psicologo-psicoterapeuta per un affiancamento e una ricostruzione dell’identità e delle sicurezze, gli assistenti sociali per la rilevazione della condizione degli spazi dal punto di vista organizzativo ma anche igienico –sanitario.

Questi soggetti si trovano da anni in condizioni di stress forzato e spesso sono lasciati soli a risolvere i propri problemi.

Non ci sono ‘fasce’ più o meno colpite: da chi è indigente a chi è benestante, da chi lavora a chi è disoccupato, a chi ha un buon livello di cultura a chi no, “l’Hoarding Disorder è un disturbo ‘verticale’“, sottolinea Alessandro Marcengo, psicologo di Torino, esperto di questo grave disturbo di personalità.



In casa, in auto, in ufficio… ovunque lasciano dietro di sé una scia inconfondibile del loro passaggio, una sarabanda di oggetti sparpagliati qua e là alla rinfusa. Di chi stiamo parlando? Di chi è vittima di un disordine eccessivo, di tipo “esistenziale”. Se è vero che dal caos nasce la vita, che la creatività si associa, nell’immaginario collettivo, al genio disordinato e che la fantasia si esprime al meglio in un contesto dinamico e libero da condizionamenti troppo rigidi, è anche vero che oltrepassare i limiti di un disordine accettabile influenza negativamente la vita individuale e rischia di compromettere una sana e armoniosa convivenza con chi condivide lo spazio vitale.

Ci sono due tipi di disordine. Quello di chi è confusionario in ogni aspetto della sua vita, e quello di chi è assolutamente preciso e disciplinato in un ambito, ad esempio quello lavorativo, ma gli costa così tanto che “recupera” altrove, di solito in casa. In genere, dietro al “ disordine patologico” si celano difficoltà psicologiche più ampie.

Il disordine mette in scena ciò che la persona fa nella vita: dissemina se stessa in mille azioni, senza ma andare fino in fondo.
Si attribuisce alle regole e al rigore pratico un senso negativo, come di gabbia. Spesso il disordinato è un eterno adolescente in falsa ribellione.
La difficoltà nel riporre ciò che si è utilizzato evidenzia la difficoltà nell’archiviare il vissuto che non serve più (relazioni finite, lavori non in sintonia, comportamenti sbagliati): una “difficoltà nel chiudere”.
Nel disordine eccessivo c’è una deresponsabilizzazione tipica del bambino e una silenziosa richiesta a chi è vicino: “Occupati della mia parte non sociale, della mia stanzetta e dei miei vestiti”.

Incarti di alimenti disseminati per casa e in auto, vestiti smessi accumulati a strati nelle settimane, oggetti lasciati per terra caoticamente, scrivania o tavolo senza spazio libero, smarrimento di bollette e documenti importanti, letto sempre sfatto e cibi scaduti da mesi nel frigorifero portano a diverse conseguenze: irritazione di chi vive accanto,
difficoltà a trovare le cose, dimenticanze di scadenze e appuntamenti, disordine mentale e difficoltà progettale, immagine sociale di trascuratezza e sciatteria, pigrizia, distrazione, inerzia e stanchezza cronica, difficoltà ad archiviare eventi e scarsa decisionalità, falsa idea di creatività.

Di solito il disordine si difende così: “Io nel mio disordine trovo tutto”, oppure “Io lavoro, non posso pensare a queste cose”. Ma un disordine così è sempre segno che qualcosa non va “a monte”. Perciò valuta come stai distribuendo l’energia nei vari ambiti di vita, se ci sono sbilanciamenti eccessivi, e prova a correggerli.

Se hai un’indole caotica, prendine atto in modo pratico, creando in casa (e sul lavoro per quanto è possibile) un ambiente funzionale, ergonomico, fatto di cose essenziali e di spazi dove le cose, pur restando al loro posto, siano a portata di mano immediata (scaffali o mobili aperti, e poche superfici libere per avere meno spazio di disseminazione).

Ritaglia un’area limitata, in casa, nella quale il tuo disordine possa “regnare”: un cassetto, un armadio, un angolo. Appendi anche una lavagna o un pannello su cui disegnare e scrivere qualsiasi cosa ti venga in mente. Visualizza il caos e le forme che esso assume col passare del tempo.

C’è un punto superato il quale il disordine si “automantiene” come in un circolo vizioso: mettere a posto sarà un’impresa così titanica da scoraggiarti subito, e da accumulare altro disordine. A quel punto il cervello va in affanno perché, qualsiasi cosa faccia nel presente, c’è una sua parte che deve ricordarsi di ciò che di importante è disperso in quel disordine (ad esempio bollette in scadenza).




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