Il termine “malattia di Kawasaki” deriva dal suo scopritore: intorno al 1960, il Dott. Tomisaku Kawasaki studiò un caso di un bambino di 4 anni che lamentava febbre da oltre 15 giorni, labbra arrossate, lingua a fragola, iperemia orofaringea, eritema diffuso con desquamazione di mani e piedi, e linfadenopatia. Pochi anni più tardi, in Giappone furono osservati altri casi simili, diagnosticati con il nome Sindrome Mucocutanea Linfonodale.
Il morbo di Kawasaki è attualmente diffuso in tutto il mondo; in particolare, colpisce gli Asiatici (soprattutto di origine giapponese), ma tutte le razze umane sono possibili target della malattia. Il rischio di contrarre il morbo di Kawasaki è comunque scarso, quasi nullo, tra la razza negra e caucasica.
Considerata la diffusione della malattia in tutto il mondo, si parla di morbo di Kawasaki endemico; inoltre, si ritiene che la malattia tenda a ripresentarsi ogni 2 o 3 anni, soprattutto durante la primavera e l'inverno.
Si è osservato che il morbo di Kawasaki colpisce soprattutto i maschi; ad ogni modo, si è registrata un'evidente predilezione della malattia per i bambini al di sotto dei 4 anni, in particolare di età compresa tra i 9 e gli 11 mesi.
Dalle statistiche mediche recenti, si è evidenziato che:
L'80% dei pazienti colpiti dal morbo di Kawasaki ha meno di 4 anni
Il 50% dei soggetti affetti dal morbo di Kawasaki ha un'età inferiore ai 2 anni
Il 2-10% dei malati dal morbo di Kawasaki contrae la malattia prima dei 6 mesi di vita
Il morbo di Kawasaki viene considerato la seconda infiammazione delle arterie che colpisce gli infanti, dopo la porpora di Schonlein-Henoch.
Si suppone una eziologia tossinfettiva e immunomediata che coinvolga superantigeni streptococcici e stafilococcici con successiva attivazione linfocitaria. Spesso la sindrome di Kawasaki esordisce dopo patologie virali non gravi.
La clinica è caratterizzata da tre fasi principali di malattia:
Fase acuta febbrile (7-14 giorni)
Può durare fino a 3-4 settimane nei casi non trattati ed è caratterizzata da febbre elevata, aspetto sofferente, settico, anoressia, irritabilità, una presentazione atipica comprende il versamento pleurico. Dopo 8-10 giorni dall'inizio della febbre compare un rash polimorfo maculopapuloso morbilliforme o scarlattiniforme pruriginoso ed esteso a tutto il corpo. Segue iperemia congiuntivale non essudativa, lesioni della mucosa orale (lesioni crostose, lingua a fragola, eritema), cheiliti, presenza di linfonodi cervicali palpabili o dolenti, edema duro al dorso delle mani e dei piedi, tumefazioni fusiformi delle dita, eritema palmare e plantare rosso porpora.
Fase subacuta (2-4 settimane)
Caratterizzata da desquamazione a larghe lamelle e talvolta, da piastrinosi
Fase convalescenziale (3 mesi)
Risoluzione della malattia con scomparsa dei segni clinici, normalizzazione della VES e presenza dei solchi ungueali trasversi caratteristici (linee di Beau).
Non essendo disponibili test di laboratorio specifici, la sindrome di Kawasaki viene diagnosticata in base ai criteri clinici e, se presenti, all'osservazione degli aneurismi coronarici mediante ecocardiografia o angiografia coronarica.
Generalmente la sindrome si risolve in maniera spontanea. Tuttavia, il 5-10% dei pazienti sviluppa complicanze gravi e l'1% è afflitto da complicanze letali.
Nella prima fase si possono osservare miocardite e pericardite.
Successivamente, possono comparire infarto del miocardio e rottura di aneurismi delle coronarie.
Altre complicanze comprendono: uretrite, artropatie, meningite asettica, ittero ostruttivo.
Il trattamento consiste in un unico ciclo di immunoglobuline per via endovenosa e aspirina.
Se avviato durante la fase acuta della malattia, il trattamento riduce la frequenza delle lesioni alle arterie coronariche a meno del 5%. Alcuni pazienti che non rispondono alla terapia standard possono essere trattati alternativamente con Infliximab.
Il tasso di mortalità è dello 0,1% con la terapia adeguata; senza terapia, la mortalità può raggiungere l'1%. Le morti sono più frequentemente conseguenza di complicanze cardiache, ma possono essere improvvise e imprevedibili; più del > 50% dei decessi si verifica entro 1 mese dall'inizio, il 75% entro 2 mesi e il 95% entro 6 mesi ma può verificarsi fino a 10 anni dopo. Una terapia efficace riduce i sintomi acuti e, più importante, riduce l'incidenza degli aneurismi coronarici dal 20% a meno del 5%. In assenza di alterazioni coronariche, la prognosi per una completa guarigione è eccellente. Circa i 2/3 degli aneurismi coronarici regredisce entro 1 anno, benché non si sappia se residuino stenosi coronariche. Gli aneurismi coronarici giganti (diametro interno > 8 mm all'ecocardiogramma) regrediscono meno frequentemente e richiedono un follow-up e una terapia più intensivi.
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