martedì 19 aprile 2016

LA FEBBRE



La febbre rappresenta un importante meccanismo di autodifesa dell'organismo nei confronti di virus e batteri. L'aumento della temperatura corporea accelera tutte le reazioni metaboliche, favorendo l'utilizzo delle riserve energetiche e potenziando l'efficienza del sistema immunitario.
Per un adulto la febbre può essere più fastidiosa che per un bambino e per questo è opportuno un trattamento antipiretico già quando il termometro segna 37,5°C. D'altro canto, la febbre non può considerarsi realmente pericolosa finché resta al di sotto di 39,5-40°C.
Il grado di innalzamento della temperatura corporea, tuttavia, non sempre è legato alla gravità della patologia che lo ha determinato. Condizioni cliniche gravi, infatti, possono essere accompagnate da una febbre modesta e, viceversa, innalzamenti della temperatura significativi possono essere innescati da disturbi non preoccupanti e facilmente gestibili.
In una bassa percentuale di bambini al di sotto dei 5 anni possono verificarsi convulsioni quando la febbre sale e/o scende rapidamente (convulsioni febbrili). Sebbene allarmino i genitori, le convulsioni febbrili sono generalmente un fenomeno benigno che scompare durante la crescita. È comunque importante segnalare l'insorgenza di convulsioni al pediatra ed eseguire accertamenti diagnostici alla comparsa del primo episodio.

Si definisce febbre l’aumento, al di sopra dei valori considerati normali, della temperatura corporea.

Sul range di normalità vi sono lievi discrepanze fra le varie fonti; a livello accademico (si veda anche quanto riportato nel sito della Harvard Medical School) il range di normalità nell’adulto è considerato 36.8° ± 0.4°C (temperatura orale); ma lo si deve considerare come un importante valore di riferimento e non come un valore corretto in assoluto per ogni persona.

Nell’uomo viene considerata come normale una temperatura corporea di 37 °C, secondo molti studi possono però definirsi come normali anche valori leggermente discostanti da tale dato (circa ±0.4 °C); questi minimi scostamenti fanno parte delle piuttosto comuni variabilità che esistono fra un individuo e un altro. Si deve inoltre ricordare che durante la giornata la temperatura del corpo ha delle fluttuazioni che toccano il punto più basso verso le 4 del mattino e quello più alto verso le ore 18.

Le variazioni fisiologiche di temperatura che si verificano nell’arco della giornata sono dovute ad alcune sostanze (per esempio il cortisolo) che il nostro organismo secerne con ritmo circadiano. La temperatura inoltre può fisiologicamente elevarsi a causa di condizioni quali la digestione, il flusso mestruale e l’attività fisica.

Un altro dei fattori da tenere in considerazione quando si parla di range di normalità è l’età; i valori fisiologici della temperatura corporea, infatti, sono più elevati nell’infanzia (+0,5 °C) mentre sono minori nelle persone anziane.

Non è quindi sempre semplice parlare di febbre; per esempio, una temperatura corporea di 37,5° C registrata nel pomeriggio subito dopo un’intensa attività fisica può essere del tutto normale (e lo stesso discorso si può fare di una donna in fase ovulatoria), mentre potrebbe essere indicativa di un processo patologico in corso se registrata al risveglio in una persona adulta o anziana e sarebbe quindi giustificabile, in questo caso, parlare di vera e propria febbre.

Una precisazione importante: la febbre non è una patologia, bensì un sintomo, più precisamente un segno clinico, che rappresenta una risposta dell’organismo a un fenomeno patologico a carico dell’organismo stesso.

La febbre può essere distinta riferendosi alla temperatura corporea; si parla di febbricola (la temperatura corporea non oltrepassa i 38 °C), di febbre lieve (dai 38,1 ai 38,5 °C), di febbre moderata (da 38,6 a 39 °C), di febbre elevata (da 39,1 a 39,5 °C), di iperpiressia (da 39,6 a 41 °C) e di iperpiressia estrema (temperatura corporea superiore ai 41 °C); la febbre raramente supera i 42 °C (la massima temperatura considerata compatibile con la vita, anche se, per periodi di tempo molto limitati, è possibile sopravvivere con una temperatura corporea di 43 °C). Sempre relativamente alla temperatura corporea: un’altra differenziazione fra ipertermia e febbre è che nella prima non esiste un limite superiore.

Contrariamente a quanto da molti affermato, febbre non è sinonimo di ipertermia(più corretto è definire la febbre come ipertermia febbrile, distinguendola quindi da altre forme di ipertermia) e la distinzione di queste due condizioni non deve essere considerata puramente accademica dal momento che essa riveste invece una notevole importanza a livello clinico.

Febbre e ipertermia sono due forme diverse di piressia.

Si ha ipertermia nel momento in cui vi è una persistente condizione di squilibrio tra ingresso e uscita di calore che è causa di un progressivo innalzamento della temperatura corporea che raggiunge livelli patologici.

La febbre è invece provocata da un danno al centro di regolazione della temperatura, centro situato nell’ipotalamo (l’ipotalamo è una struttura del sistema nervoso centrale che esplica funzioni di controllo sul sistema nervoso autonomo e sul sistema endocrino).

Durante i processi infiammatori le prime cellule ad essere attivate sono i monociti (cellule dell'immunità innata presenti costitutivamente nei tessuti vascolarizzati) che maturano in macrofagi ed iniziano a secernere citochine, proteine che agiscono sia a livello locale che a livello sistemico. In quest'ultimo caso molto importanti sono le interleuchine 1 e 6 (IL-1 e IL-6) e il TNF-α, ma esistono anche altre sostanze pirogene come TNFβ, IFNα, IFNβ, IFNγ, MIP-1, IL-2, IL-8 e diversi peptidi prodotti dai macrofagi, che vanno ad agire indirettamente sui neuroni ipotalamici: non sono infatti in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, ma sono in grado di attivare le cellule endoteliali dei vasi che irrorano l'ipotalamo a produrre e rilasciare prostaglandine, in particolare PGE2, ed altri derivati dell'acido arachidonico. Queste ultime sostanze, grazie al basso peso molecolare, attraversano la barriera emato-encefalica giungendo ai neuroni termoregolatori, a livello della regione preottica dell'ipotalamo (organum vasculosum laminae terminalis), qui legano specifici recettori (EP3) e determinano un aumento della concentrazione di AMP ciclico interna portando alla disregolazione del centro ipotalamico. Il centro termoregolatore, che agisce da termostato dell'organismo umano, è ora tarato non più sui 37 °C ma su una temperatura superiore. L'ipotalamo è quindi "istruito" a mantenere una temperatura corporea più elevata.

La febbre si manifesta di solito in tre fasi:
fase prodromica o fase d'ascesa: coincide con l'inizio della produzione delle prostaglandine. I neuroni ipotalamici sono tarati ad una temperatura superiore ai 37 °C e innescano delle reazioni che determinano l'aumento della temperatura corporea: spasmi muscolari involontari (brividi o shivering), attivazione dell'ortosimpatico che provoca vasocostrizione periferica, stimolazione della tiroide affinché venga attivato il metabolismo basale). A livello del muscolo scheletrico quindi si ha una contrazione involontaria, ma anche l'attività di cascate di segnalazione intracellulari, con l'espressione di PGC1, un fattore trascrizionale che attiva la mitocondriogenesi. Allo stesso tempo è attivata la trascrizione di UCP, che abbassa l'efficienza nella sintesi di ATP nel mitocondrio. Si hanno così più mitocondri poco efficienti, con maggior produzione di calore in ogni miocita. Il soggetto in questa fase ha una sensazione generalizzata di freddo, perché non si è ancora raggiunto il set point ipotalamico;
fase del fastigio o acme febbrile: dura per tutto il periodo di produzione delle prostaglandine. I neuroni ipotalamici mantengono la temperatura sul nuovo valore. Il soggetto ha una sensazione di caldo, con pelle calda ed arrossata, cefalea, mialgia, oliguria, agitazione ed aumento della frequenza cardiaca e respiratoria.
fase di defervescenza: inizia con l'inattivazione della produzione delle prostaglandine ed è tanto più rapida quanto è più celere l'eliminazione dei possibili patogeni. I neuroni tornano ad essere tarati al normale valore di 37 °C, riconoscono l'innalzata temperatura corporea e attivano meccanismi affinché questa si abbassi: si ha la stimolazione del sistema colinergico che causa sudorazione e vasodilatazione periferica. La fase di defervescenza può essere graduale (defervescenza per lisi) o immediata (defervescenza per crisi). Il soggetto ha una sensazione di caldo, suda ed ha la pelle arrossata.
Nella maggior parte dei casi la febbre si associa a infezioni a risoluzione spontanea, come le comuni malattie virali. L'impiego di antipiretici serve in questi casi solo ad attenuare la sensazione di disagio del paziente, ma non accelera o facilita la risoluzione dell'infezione. Questi farmaci agiscono bloccando la sintesi di prostaglandine, ma non eliminano la causa che sta dietro la febbre. Non di rado l'utilizzo inadeguato degli antipiretici può mascherare un'infezione batterica trattata in modo errato.



La febbre va considerata parte dei meccanismi di difesa dell'organismo, in quanto ostacola la replicazione dei microorganismi infettanti (specialmente virus, attraverso la produzione di interferoni), pertanto è utile riservare gli antipiretici quando strettamente necessario ovvero per ridurre i sintomi sistemici associati, quali cefalea, mialgie e artralgie, o in presenza di indicazioni specifiche, meglio se sotto controllo medico per quanto riguarda bambini piccoli, anziani debilitati, cardiopatici, broncopneumopatici.

In quest'ultimo caso il trattamento della febbre è altamente raccomandato, in quanto la febbre aumenta la richiesta di ossigeno: per ogni grado al di sopra dei 37 °C, l'organismo necessita del 13% in più di ossigeno e ciò potrebbe aggravare una preesistente insufficienza cardiaca o una patologia respiratoria cronica.

L'osservazione cauta permette alla febbre di espletare il suo compito difensivo se il soggetto: svolge normalmente le sue attività in casa, è lucido, beve, suda, urina, non ha altri sintomi correlati come vomito, tosse, diarrea, cefalea.

Una febbre non complicata (che nei bambini spesso può essere anche causata da stress emotivi, cambiamenti di sede, di casa, viaggi), in genere dura qualche giorno e va via senza terapia. Non bisogna sottoporsi a cambiamenti di temperatura tra interno ed esterno ma restare a riposo a casa qualche giorno, evitando il riscaldamento eccessivo dell'ambiente.

Quando si ha la febbre in genere non si ha bisogno o desiderio di mangiare, ma si deve bere per disperdere il calore ed eliminare le tossine.

Per i bambini che sono predisposti alle convulsioni febbrili, bisogna sempre tenere in casa il Diazepam che va somministrato (secondo il dosaggio indicato dal medico) per via rettale e un cortisonico (sempre indicato dal medico).

Bisogna però sapere che una febbre alta non va abbassata troppo bruscamente con antipiretici, cortisonici ecc. per non incorrere in complicazioni; né dimenticare che si può essere allergici o intolleranti ai farmaci che si ritengono utili.

In qualsiasi caso farmaci come l'aspirina sono efficaci soltanto se la febbre ha origini infiammatorie, infatti agiscono inibendo la produzione delle prostaglandine. Non danno alcun beneficio quindi né nell'ipertermia né nel colpo di calore.

A seconda del valore della febbre (misurazione ascellare) questa può essere classificata in vari modi:

subfebbrile 37 - 37,3
febbricola 37,4 - 37,6
febbre moderata 37,7 - 38,9
febbre elevata 39 - 39,9
iperpiressia >40

La fase di fastigio assume andamenti caratteristici a seconda delle cause che producono la febbre. Si distinguono vari tipi di febbre:

Febbre continua: la temperatura corporea raggiunge i 40 °C e si mantiene pressoché costante durante il periodo del fastigio, in quanto le oscillazioni giornaliere della temperatura corporea sono sempre inferiori ad un grado centigrado senza che mai si raggiunga la defervescenza. È frequente nelle polmoniti. Solitamente si ha defervescenza per crisi con sudorazione profusa.
Insorgenza e defervescenza graduale (defervescenza per lisi), si ha un passaggio dallo stato di salute a quello di malattia moderato nel tempo.
Insorgenza e defervescenza brusca (defervescenza per crisi), si ha un passaggio dallo stato di salute a quello di malattia estremamente rapido. Durante la defervescenza per crisi c'è intensa sudorazione.
Febbre remittente o discontinua: il rialzo termico subisce durante il periodo del fastigio oscillazioni giornaliere di due-tre gradi, senza che mai si raggiunga la defervescenza. È frequente nelle setticemie e malattie virali. È frequente nella tubercolosi.
Febbre intermittente: periodi di ipertermia si alternano a periodi di apiressia (senza febbre). Queste oscillazioni si osservano durante una stessa giornata, e questo è il caso di sepsi, neoplasie, malattie da farmaci, oppure nell'arco di più giorni (Febbre Ricorrente), come nel caso della malaria (se il picco di ipertermia si osserva ogni quattro giorni si parla di quartana, se si osserva ogni tre giorni di terzana), nel linfoma di Hodgkin e in altri linfomi. Una febbre alta (intorno ai 40 °C, o fra i 37 e 38 in presenza di sudorazione, che asporta calore corporeo), intermittente e associata a brividi è il sintomo di una febbre settica, di origine batterica.
Febbre ondulante: il periodo febbrile oscilla da 10 a 15 giorni
Febbre ricorrente e familiare: Febbre mediterranea familiare (FMF), il periodo febbrile oscilla da 3 a 5 giorni.
La misurazione della temperatura corporea si effettua tramite un termometro per uso medico. Il valore riportato dallo strumento non rappresenta necessariamente la cosiddetta temperatura interna, e a seconda della modalità di misurazione si distinguono diverse temperature:

Temperatura rettale, ottenuta inserendo l'ampolla del termometro nel retto per via anale. Si considera normale una temperatura tra i 36,8° e i 37,3 °C.
Temperatura orale, ottenuta tenendo l'ampolla in bocca. Si considera normale una temperatura tra i 36,8° e i 37,5 °C.
Temperatura timpanica, ottenuta tramite la rilevazione dei raggi infrarossi.
Temperatura ascellare, ottenuta tenendo l'ampolla nell'incavo dell'ascella. Si considera normale una temperatura tra i 36,5° e i 36,8 °C.
Temperatura inguinale, ottenuta tenendo l'ampolla nell'incavo dell'inguine. Si considera normale una temperatura tra i 37° e i 37,5 °C.

La terapia delle febbre con mezzi fisici (spugnature di acqua o alcool) è sconsigliata in caso di febbre di origine centrale, mentre può essere consigliata solo in caso di ipertermia. Al contrario i farmaci non possono essere consigliati in caso di ipertermia perché in questo caso manca il meccanismo centrale di innalzamento della temperatura su cui questi agiscono. Per ipertermia si intende una temperatura rettale uguale o superiore a 41,6 °C, non dovuta all'azione di pirogeni endogeni, ma ad altri meccanismi che comportano un aumento primitivo della produzione endogena di calore e che agiscono al di fuori del controllo del centro ipotalamico che regola la temperatura corporea; come è il caso di:

ipertiroidismo
colpo di calore,
condizioni di alterata capacità di disperdere calore: (disautonomia familiare o la displasia ectodermica anidrotica).

La terapia farmacologica della febbre nei bambini prevede secondo le Linee Guida della Soc. Italia di Pediatria (SIP), l'uso di due soli farmaci: paracetamolo ed ibuprofene, gli altri farmaci ad attività antipiretica non sono approvati per quest'uso.

Inoltre, secondo le raccomandazioni che questa recente Linea Guida 2009 dà, occorre:

usare questi due farmaci solo quando il bambino ha un malessere generale evidente,
l'Acido acetilsalicilico (aspirina) non va usato per il rischio di Sindrome di Reye,
i cortisonici non devono essere usati per il loro elevato rapporto effetti avversi/benefici,
l'uso combinato o alternato di paracetamolo e ibuprofene non è consigliato,
la somministrazione rettale va usata solo in caso di vomito,
i dosaggi degli antipiretici devono essere quelli approvati; mai vanno superate le dosi consigliate, specie con il paracetamolo per il rischio di epatotossicità fulminante con lo stesso,
l'ibuprofene non va usato in caso di varicella o se il bambino è disidratato o in caso di sindrome di Kawasaki,
la dose dei farmaci va calcolata in base al peso e non in base all'età,
in caso di asma il paracetamolo non è controindicato, l'ibuprofene sì quando vi è un'asma nota per i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS),
non è consigliato l'uso preventivo dei due farmaci per prevenire reazioni ai vaccini,
non è consigliato l'uso preventivo dei due farmaci per prevenire le convulsioni febbrili, perché non le prevengono.
Successivamente a questa Linea Guida, nel maggio del 2009 è stata pubblicata un'importante ricerca condotta in Gran Bretagna e sponsorizzata da un ente Governativo "Health Technology Assessment"; nella quale si legge che l'associazione tra paracetamolo e ibuprofene da migliori risultati sulla riduzione dei tempi per raggiungere lo sfebbramento rispetto al solo uso del paracetamolo, ma non rispetto l'uso del solo ibuprofene.

Inoltre, la combinazione dei due farmaci ha una maggiore durata del controllo del sintomo.

Lo studio conclude sostenendo che: "l'ibuprofene dovrebbe essere il farmaco di primo impiego; mentre la combinazione dei due dovrebbe essere presa in esame qualora si voglia sfruttare il più duraturo controllo del sintomo febbre (2,5 ore in più). In questo caso però bisogna attentamente controllare affinché non venga superata la dose massima giornaliera dei due farmaci; inoltre, non andrebbe scoraggiata questa pratica per il maggior costo complessivo a fronte di un sintomo che di solito ha breve durata ma che può avere implicazioni prognostiche importanti."

Di questa ricerca pubblicata nel 2009 le Linee Guida della SIP non tengono conto per motivi prudenziali e perché pubblicata prima di questo studio inglese.

Una recente ricerca, condotta su 322.959 adolescenti coordinata dal Medical Research Institute of New Zealand (Wellington, Nuova Zelanda), ha dimostrato che il paracetamolo è un importante fattore di rischio per lo sviluppo e/o mantenimento nell'infanzia e adolescenza del rischio di asma, rinocongiuntivite ed eczema.






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