sabato 19 settembre 2015

LO SCORBUTO



Lo scorbuto fu citato già nelle cronache egizie a partire dal 1500 a.C. e, nonostante la citazione di Ippocrate riconducibile alle sue opere del quinto secolo, la patologia non suscitò alcuna attenzione particolare da parte del pubblico. Per giungere alle prime considerazioni mediche (s'intenda, prive di basi diagnostiche e con approcci terapeutici casuali) si dovettero attendere i viaggi degli esploratori europei dal 1500 al 1800. La celebre circumnavigazione del globo che vede Ferdinando Magellano (1520) protagonista si concluse con più dell'80% dell'equipaggio morto a causa della presunta malattia. Nel corso dei viaggi documentati nei diari di bordo furono adottate le procedure impartite dagli americani agli equipaggi, che prevedevano somministrazione di tè al cedro, ricco per l'appunto di vitamina C. Fu nel 1747 che un medico scozzese della marina da guerra britannica di nome James Lind condusse il primo studio clinico accurato riportato sino ad oggi. A bordo della HMS Salisbury, documentò scrupolosamente i sintomi dei marinai affetti dallo scorbuto, i quali includevano perdita di denti, emorragie e gengive sanguinanti. Lind selezionò 12 uomini malati e li divise in sei coppie, prescrivendo una cura di base comune a tutti gli individui e in aggiunta un alimento integrato nella dieta differente per ciascuna coppia. Ad alcuni diede del sidro, ad altri acqua di mare, misture di aglio, sedano o ancora del rafano. Un'altra coppia ricevette cucchiai di aceto e un'ultima due arance e un limone. Quei due uomini che si nutrirono di agrumi guarirono e tornarono in sesto. Nonostante questa non costituisse la scoperta epocale - i benefici del lime e del limone erano già noti da secoli - Lind dichiarò definitivamente la supremazia degli agrumi nell'elenco di possibili rimedi al disturbo, pubblicando l'esperienza nel lavoro intitolato Treatise on the Scurvy (Trattato sullo scorbuto). Ciononostante, nella marina britannica non vennero presi provvedimento per i successivi 40 anni, dovendo attendere il 1932, anno in cui lo scienziato ungherese Albert Szent-Györgyi dell'Università di Pittsburgh e i ricercatori W.A. Waugh e C.G. King isolarono e sintetizzarono l'acido ascorbico (alias vitamina C).

Lo scorbuto è un’avitaminosi considerata quasi del tutto scomparsa. Ne soffrivano i marinai all’epoca delle grandi spedizioni marittime a causa dell’alimentazione carente in frutta e verdura. Si è stimato che gli uomini di bordo delle navi del XV secolo ricevessero una razione media di mezzo litro di vino di pessima qualità, 700 g di gallette, 50 g di carne di maiale conservata e 100 g di fave. Con una dieta di questo tipo in grado di apportare 3900 kcal con il 70% di carboidrati, il 15% di proteine e il 15% di grassi, i marinai di quel periodo andavano incontro ad emorragie gengivali, gastroenteriche, sottocutanee e muscolari. Anche le urine finivano col colorarsi di rosso a causa dell’ematuria.Responsabile di questa condizione era la carenza di vitamina C (o acido ascorbico) a sua volta indispensabile nella sintesi di idrossiprolina. La mancanza di questo amminoacido infatti comporta alterazioni strutturali della sostanza fondamentale o delle fibre collagene del tessuto connettivo. Da qui l’aumentata fragilità dei piccoli vasi e la comparsa delle emorragie. Così mentre i marinai dell’epoca di Colombo, tra gallette, fave e carne di maiale, non riuscivano ad assumere più di 30 mg/die di vitamina C, i nuovi LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana – IV Revisione) stimano che un maschio adulto abbia un fabbisogno medio (AR, average requirement) pari a 75 mg/die mentre l’assunzione raccomandata (PRI, population reference intake) per la popolazione adulta è pari a 105 mg/die. Tra gli alimenti più ricchi di vitamina C ci sono la verdura fresca e la frutta, in particolare i peperoni (127-166 mg/100 g), i kiwi (65-120 mg/100 g), gli agrumi (37-54 mg/100 g), le fragole (54 mg/100 g), i pomodori (21-25 mg/100 g) e gli ortaggi a foglia verde (Carnevale e Marletta, 2000).Oggi questa condizione è descritta tra gli anziani e tra i bambini che si astengono da un consumo regolare di frutta e verdura. Spesso si fa fatica a collegare il quadro clinico con la condizione di avitaminosi e la diagnosi può venir posta tardivamente. In linea generale si è poco propensi a pensare allo scorbuto, mentre si potrebbe ipotizzare una vasculite. Si tratta di una patologia su base autoimmune caratterizzata dalla presenza di porpora palpabile, ovverosia di lesioni cutanee percepibili al tatto. Lo scorbuto può mimare in tutto e per tutto la vasculite a causa dell’ipercheratosi follicolare e delle emorragie peri-follicolari che conferiscono alle lesioni un aspetto rilevato e dunque palpabile¹. Tra le altre condizioni che vanno in diagnosi differenziale con lo scorbuto vi sono l’osteomielite, l’artrite settica, la febbre reumatica, l’artrite reumatoide e il neuroblastoma.In qualità di nutrizionista seguo diversi bambini con problemi di peso. Alcuni di questi hanno una vera e propria avversione per la frutta e per la verdura. I colleghi psicologi parlano di Disturbo da Alimentazione Selettiva. Ho voluto approfondire l’argomento e ho digitato la parola scurvy (scorbuto in inglese) su PubMed, una delle più estese banche dati bibliografiche. Nell’ultimo anno sono stati pubblicati quasi 50 articoli sull’argomento, decisamente tanti per una patologia che si ritiene scomparsa. Il caso di un bimbo indiano affetto da una forma avanzata di scorbuto: all’età di due anni era stato colpito da una meningite tubercolare dalla quale era residuata una spasticità generalizzata che gli impediva di alimentarsi in maniera corretta. Il bimbo, che aveva 6 anni, era stato alimentato per gran parte della sua vita quasi esclusivamente con latte vaccino. I genitori avevano riferito al curante che il bimbo era andato incontro ad un progressivo rigonfiamento del ginocchio destro negli ultimi tre mesi e poiché la condizione non accennava a migliorare avevano richiesto il consulto di uno specialista. La radiografia dimostrò un’ampia lesione coinvolgente l’estremità distale del femore tanto da far pensare ad un tumore osseo. Allo stesso tempo però il bimbo presentava sanguinamento gengivale, anemia magaloblastica ed era evidentemente malnutrito. Sulla base del quadro clinico fu posta diagnosi di scorbuto in fase avanzata. Il bimbo venne curato con dosi giornaliere di 200 mg di vitamina C e con una dieta semi-solida ricca in proteine e in agrumi. A soli 3 giorni di distanza dalla supplementazione orale le condizioni cliniche del bimbo migliorarono sensibilmente. Anche la tumefazione si ridimensionò e le successive radiografie dimostrarono una progressiva calcificazione dell’ematoma con rimodellamento. Casi come quello descritto sono fortunatamente rari. Diversamente sono tanti i soggetti pediatrici che rifiutano di mangiare frutta e verdura. In un bimbo di 5 anni di età la cui dieta contempli solo latte e cacao, biscotti secchi, merendine, pasta e carne l’apporto di vitamina C è ben al di sotto dei livelli stabiliti dai LARN (25,0 mg vs 45 mg). Basta aggiungere un kiwi o una spremuta d’arancia perché il livello di acido ascorbico si porti oltre i 100 mg/die! In conclusione nel valutare lo stato nutrizionale di un bimbo che non mangia frutta e verdura non ci dovremmo dimenticare della vitamina C, e poiché difficilmente avremo a che fare con forme gravi sarà utile ricordare che i segni più precoci di questa avitaminosi sono l’iperemia congiuntivale e il sanguinamento gengivale.

La storia di una ragazza affetta da scorbuto inizia da quando ha tre anni e si scopre che è allergica a noci e frutta secca. «Eliminandole dalla dieta tutto è andato bene fino all’adolescenza — racconta —. Poi, dopo i vent'anni, ho iniziato a stare di nuovo male. Non riuscivo a capire che cosa mi desse fastidio, nel tempo ho eliminato moltissimi cibi, finché, due anni fa, il verdetto: mi dicono che sono allergica a frutta e verdura. Così ho smesso di mangiare anche i pomodori, gli ultimi vegetali che continuavo a concedermi».




Nel gennaio del 2009 la ragazza sta di nuovo bene, non ha disturbi. Ma nel giro di un paio di mesi arrivano nuovi problemi: le gambe si riempiono di petecchie, macchie rosse segno di piccole emorragie sotto l'epidermide. Gli ematologi e i dermatologi pensano a un disturbo dei vasi sanguigni, ipotizzando una vasculite; poco tempo dopo la ragazza comincia a perdere sangue con le feci e gli specialisti le danno una cura per l'infiammazione dei vasi, somministrandole cortisone ad alte dosi assieme a farmaci per proteggerle lo stomaco (la melena, così si chiama la grossa perdita di sangue con le feci, dipende di solito da emorragie allo stomaco). A questo cocktail aggiungono un supplemento di ferro e vitamina C, sempre utili in caso di emorragie: il ferro contrasta l'anemia dovuta alla perdita dei globuli rossi, la vitamina C rinforza i vasi sanguigni.
La ragazza risolve i suoi disturbi, ma tutti danno il merito al cortisone e nessuno può immaginare che il miglioramento abbia a che fare con la vitamina C. Dopo qualche mese, nel dicembre del 2009, si decide di sospendere la terapia perché tutto sembra sotto controllo. Di nuovo, nel giro di un paio di mesi Simona torna a stare malissimo: la pelle si copre ancora di lividi e petecchie. Riprende solo il cortisone, ma stavolta non funziona e con il passare dei mesi le sue condizioni si aggravano finché, a novembre, non riesce più a respirare bene: le viene il fiatone solo a fare due passi, è costantemente in affanno. Viene ricoverata all'ospedale Sacco di Milano. I medici scoprono che la ragazza è gravemente anemica (ha un tasso di emoglobina nel sangue pari a 7 grammi per decilitro, il limite è 12) e, per chiarire la causa della mancanza di respiro, la sottopone a un'ecocardiografia che rivela una grave ipertensione polmonare: la pressione nei polmoni è a 75 mmHg (il valore soglia è 25), in queste condizioni il sangue non arriva bene ai polmoni, non viene ossigenato a sufficienza e il cuore si affatica, non pompa più il sangue in circolo come dovrebbe.

«L'elettrocardiogramma però era normale e, alla TAC polmonare, non si rilevavano emboli che potessero spiegare il suo problema. Così l'abbiamo trasfusa e dimessa dopo 5 giorni — racconta il medico —. Dopo due settimane tuttavia è tornata, stavolta con un’emoglobina a 4 grammi per decilitro: abbiamo temuto il peggio, era piena di ecchimosi e perdeva sangue nelle feci, dalle gengive. A quel punto però la ragazza si era documentata e aveva cominciato a supporre che la sua dieta senza frutta e verdura potesse averle causato un deficit importante di vitamina C e quindi lo scorbuto. Tutti i sintomi tornavano: i vasi sanguigni debolissimi, le emorragie, l'anemia, l'ipertensione polmonare e lo scompenso cardiaco, che arrivano quando la malattia è in fase avanzata e in passato uccidevano i marinai».

«A un certo punto è stato come fare due più due — dice la ragazza —. Quando, quasi due anni prima, avevo avuto le prime manifestazioni, un collega mi aveva suggerito di prendere un po' di vitamina C assieme al cortisone, perché, anche se allora si pensava a una vasculite su base autoimmune, "di certo - mi aveva detto - non può farti male". E io ero stata bene solo allora». Il medico si convince che la sua paziente potrebbe avere ragione e la sottopone al dosaggio della vitamina C nel sangue. «I livelli normali vanno da 460 a 1940 milligrammi per decilitro, lei non arrivava a 100 — spiega —. La ragazza ha quindi cominciato ad assumere 20 gocce al giorno di vitamina C ed è rifiorita: tutto si è risolto in pochi giorni, l'ipertensione polmonare è scomparsa, il cuore è tornato a lavorare al meglio, i sintomi sono spariti. Ora continua a prendere vitamina C e sta benissimo».

La sua vicenda dovrebbe farci riflettere: i casi di scorbuto oggi sono per fortuna rari e quasi sempre riguardano persone indigenti, che non riescono ad alimentarsi come dovrebbero, o gli alcolisti, perché l'alcol aumenta l'eliminazione della vitamina C. Sono però tantissimi quelli che si imbarcano in diete sbilanciate, e di rado per motivi medici, come nel caso della ragazza: i più rinunciano a nutrienti di varia natura per dimagrire o "purificarsi", o magari perché si convincono di essere "intolleranti" a una serie di alimenti; poi ci sono i tanti pazienti con disturbi del comportamento alimentare come l'anoressia. Tutti sono esposti al rischio di carenze che possono portare a malattie vere e proprie.



LEGGI ANCHE : http://cipiri11.blogspot.it/2015/09/la-cucina-della-nonna.html




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