La banca del seme è una azienda dove viene acquistato lo sperma di donatori (anonimi in alcuni Stati) in cambio di denaro. Quello stesso sperma, crioconservato, viene poi utilizzato per la fecondazione assistita.
In alcuni casi la banca del seme conserva anche ovociti di donatrici.
Alle banche del seme si possono rivolgere coppie eterosessuali in caso di infertilità o di malattie genetiche, ma i clienti possono essere, ove le leggi lo consentano, anche single o coppie omosessuali che desiderino avere dei figli.
In altri casi, l'acquirente cerca un figlio con determinate caratteristiche, e ciò pone un problema etico legato ad un uso eugenetico delle banche del seme.
"La banca del seme è un luogo dove viene conservato lo sperma di pazienti che hanno problemi di grave deterioramento dello sperma, con rischi di scomparsa totale di spermatozoi o un luogo dove si conserva lo sperma di pazienti giovani in previsione di una futura infertilità e che potrebbero andare incontro a patologie o trattamenti che possono danneggiare seriamente la produzione di sperma, come ad esempio tumori” spiega un medico.
Quando si parla di banca del seme, ossia di un centro specializzato all’interno del quale viene conservato il liquido seminale maschile, viene naturale pensare alla fecondazione assistita.
In realtà i fini per i quali si agisce possono essere diversificati.
Nei Paesi nei quali è ammessa la fecondazione eterologa, ad esempio, è abbastanza diffusa la donazione di spermatozoi che a volte può diventare anche un lavoro, come accaduto in Cina, Paese in cui, per agevolare le donazioni si è addirittura pagato i donatori ben 980 dollari che paragonati al salario medio di un operaio formato da solamente poche centinai di dollari è una vera fortuna.
La donazione del liquido seminale richiede un impegno molto prolungato nel tempo. Infatti, in questi Paesi, i donatori firmano un vero e proprio contratto nel quale è richiesto di produrre campioni di sperma per uno o due giorni alla settimana per almeno un anno. La “visita” alla banca del seme deve essere preceduta da due giorni di astinenza sessuale. Le banche del seme hanno delle piccole camere per i donatori fornite di riviste pornografiche, dvd, un lavandino e una poltrona. Una volta prodotto il liquido seminale viene analizzato e, se soddisfacente, crioconservato e poi utilizzato per la fecondazione assistita trascorsi sei mesi dalla donazione e dopo aver effettuato nuovamente tutte le analisi sul donatore. In particolare si effettua uno screening per HIV, epatite B e C e sifilide e indagini specifiche volte a verificare la presenza di anomalie cromosomiche e/o malattie genetiche.
Per essere conservato restando fertile il seme viene congelato in azoto liquido a -196 gradi centigradi con una sostanza crioprotettrice che mantiene la vitalità delle cellule. Il principio fondamentale è quello di interrompere i processi biochimici del metabolismo cellulare.
Trovare donatori di seme non è facile, ragion per cui le banche del seme pubblicizzano le loro richieste attraverso diversi mezzi di comunicazione, anche i giornalini universitari, come spesso accade negli Stati Uniti.
Per contro le agenzie di ovuli ricevono centinaia di “richieste di lavoro” ogni mese. Vi è però una sostanziale differenza nel modo attraverso il quale i professionals dei due tipi di organizzazione rappresentano i rispettivi “fornitori”: mentre nelle banche del seme viene in modo esplicito riconosciuto che i donatori sono più che altro interessati ad una sorta di lavoro, le agenzie di ovuli sono, invece, inclini a considerare le richieste come segni di altruismo, sebbene si faccia notare che le donatrici ricevono qualcosa in cambio.
Negli ultimi vent’anni in Danimarca Ole Shou ha fatto nascere 16.580 bambini. Ole Shou è il fondatore di Cryos, la più grande banca di sperma al mondo, con sede ad Aarhus. Pare che tutto sia nato grazie ad un sogno rivelatore: un fiume impetuoso bluastro che si avvita su se stesso. La particolarità stava nel fatto che l’enorme canale era formato non da acqua ma da spermatozoi. Il sogno colpì Ole Shou che cominciò a documentarsi e, finita l’università, in un ufficio di nove metri quadrati avuto grazie ad un prestito della madre, iniziò la sua attività. “All’inizio – spiega – offrivamo solo la possibilità di congelare il proprio sperma a chi si sottoponeva a vasectomia o ai malati di cancro che rischiavano la sterilità con la chemioterapia. Nel 1990 però, sollecitati dalle cliniche che ricevevano sempre più richieste di aiuto per casi di infertilità, cominciammo a cercare donatori”. Li cercò nelle università affiggendo dei semplici volantini: “Dopo due settimane avevamo già ottenuto cinque gravidanze”.
Attualmente la Cryos ha ben 414 donatori classificati da Mot 5 a Mot 50+ in base ai milioni di spermatozoi per millilitro in modo da assicurare la motilità ed esporta liquido seminale in 70 Paesi.
Accedendo al sito si può notare come coppie eterosessuali, omosessuali o single possono scegliere l’etnia, i caratteri somatici, il colore degli occhi e dei capelli anche chiedendo una foto del donatore da piccolo.
Tale sistema è tutelato da una forte riservatezza che garantisce l’anonimato del donatore. Intatti, mentre in Svezia e nel Regno Unito i donatori sono diminuiti in misura più che considerevole a seguito dell’abolizione dell’anonimato dei donatori anche a seguito del fatto che negli Stati Uniti qualche donatore è stato condannato a pagare il mantenimento a figli ventenni mai conosciuti, in Danimarca la tutela dell’anonimato dei donatori è una priorità e vale quanto la tutela del diritto alla gravidanza di donne single o di coppie di donne.
Nel nostro Paese è ammessa solo la fecondazione omologa che prevede che i gameti che formeranno l’embrione devono provenire dalla coppia.
La crioconservazione del liquido seminale o degli spermatozoi prelevati a livello epididimario e testicolare rappresenta uno dei più importanti strumenti che abbiamo oggi a disposizione nella gestione di pazienti affetti da patologie neoplastiche, autoimmuni, urologiche, neurologiche, che si sottopongono a trattamenti medici e chirurgici potenzialmente in grado di indurre una sterilità permanente o temporanea nonché nei pazienti affetti da azoospermia secretoria ed escretoria.
Alla luce del fatto che molto spesso tali patologie riguardano pazienti giovani e senza figli è imperativo che gli specialisti coinvolti nel settore consiglino questa opportunità e che almeno un centro in ogni regione si attrezzi per assicurare questa opzione con il più alto grado di professionalità possibile.
È importante rilevare che esistono due diverse modalità di Banca del seme. L’attività di crioconservazione, infatti, può essere inclusa in una tecnica di fecondazione assistita, nell’ambito di un progetto finalizzato a realizzare una gravidanza, in questo caso è considerata soggetta alla legge 40/2004; oppure può perseguire finalità strettamente conservative ed indipendenti dalla fecondazione assistita volte alla prevenzione di soggetti abbastanza giovani che dovranno essere sottoposti a cure particolari.
Esistono situazioni differenti che possono portare alla crioconservazione.
Innanzitutto possiamo distinguere la crioconservazione in soggetti giovani (fino ai 30-35 anni), volta alla prevenzione e alla conservazione del materiale genetico per il futuro e la crioconservazione a cui fa ricorso la coppia con problemi di fertilità (che riguarda una fascia di età più alta).
“Il pazienze giovane che va incontro ad una patologia importante, quale ad esempio un tumore o una leucemia, e che quindi o dovrà essere operato o dovrà fare una radioterapia o una chemioterapia o un trapianto di midollo, potrebbe avere, come conseguenza, una distruzione completa e irreversibile della produzione di spermatozoi. – spiega un medico – A questo punto, se il bambino ha un regolare sviluppo puberale, potrebbe avere i testicoli in grado di produrre spermatozoi e può provare a congelare il suo sperma nel Centro di crioconservazione che lo conserverà anche per lunghi periodo di dieci o quindici anni, in attesa che nel futuro voglia avere prole.
Abbiamo poi un gruppo di pazienti che hanno patologie importanti che progressivamente deteriorano lo sperma come ad esempio un varicocele. (Un soggetto di 20-30 anni che presenta un varicocele non riconosciuto dall’età puberale può andare incontro ad una riduzione fino al completo azzeramento degli spermatozoi).
In queste situazioni, in casi molto severi, si congelerà lo sperma.
Infine vi possono essere casi di pazienti che non hanno spermatozoi nello sperma. In questo caso talvolta è possibile recuperarli dai testicoli tramite un intervento chirurgico. Tale materiale verrà congelato e conservato fin quando un paziente non voglia avere un figlio”.
Successivamente, quando il paziente decide di avere un figlio gli spermatozoi vengono scongelati, riacquistano la loro attività e potranno essere impiegati, di solito nella fecondazione in vitro.
“La prevenzione principale per cui è molto importante una banca del seme – continua – riguarda il tumore. In particolare i bambini tra 13 e 18 anni hanno, con questa nuova tecnologia, una opportunità di conservare la loro capacità fecondante, attualmente sottovalutata. Oggi abbiamo diverse procedure nelle quali il paziente non è stato informato che a seguito della terapia avrà un danno e di questo chiederà conto. Noi abbiamo il ruolo di interfacciarci con tutti i centri nei quali ci potrebbe essere un potenziale danno e che ci mandano il paziente che verrà visitato, si vedrà se ha capacità di produrre uno sperma idoneo che va congelato”.
Si tratta di una forma di prevenzione nel giovane maschio da non sottovalutare.
In questo modo, è possibile non solo salvare la vita al paziente, ma anche dargli la possibilità, una volta guarito, di poter avere figli. Tale funzione è sempre più non è da sottovalutare, tenuto conto lo stress e il dolore fisico e morale a cui è sottoposto sia il giovane paziente affetto da una patologia grave che la sua famiglia.
Si tratta di una forma di prevenzione di fertilità da non sottovalutare: non c’è dubbio che la conservazione, prima del trattamento, del liquido seminale dei pazienti affetti da cancro costituisce un dovere medico importante, tanto più che la prognosi e l’aspettativa di vita degli uomini che hanno, ad esempio, una malattia di Hodgkin o un tumore testicolare sono molto buone.
In questo modo, è possibile non solo salvare la vita al paziente, ma anche dargli la possibilità, una volta guarito, di poter avere figli.
“Per quanto riguarda i pazienti che crioconservano per la procreazione medicalmente assistita (PMA) la legge 40/2004 non prevede alcun limite di età, si fa riferimento al paziente fertile, per cui fino a 50-60 anni” ci spiega una dottoressa.
“Se il materiale – continua – viene prelevato per patologie maschili, come ad esempio una azoosfermia ossia nel caso in cui il paziente non riesce ad avere una gravidanza con la sua compagna, ed effettua tutta una serie di esami richieste dall’andrologo che valuta la causa della mancanza di spermatozoi nel liquido seminale e, se è ipotizzabile un intervento chirurgico, viene fatto un prelievo chirurgico testicolare degli spermatozoi che vengono poi crioconservati e utilizzati poi per la fecondazione in vitro.
Esistono, inoltre, altre problematiche strettamente legate alla PMA come una eiaculazione retrograda o un lento e progressivo peggioramento del liquido seminale: in questi casi viene fatta una conservazione preventiva e cautelativa perché nel tempo questa progressiva riduzione degli spermatozoi potrebbe portare a una incapacità di avere una gravidanza”.
Quando il paziente vuole utilizzare questo materiale biologico si rivolge ad un centro che si occupa di fecondazione assistita che generalmente è lo stesso che ha provveduto alla crioconservazione e chiede lo scongelamento del materiale biologico per trasferirlo nell’utero della compagna.
“Il procedimento – conclude – viene pianificato dal ginecologo che si occupa di fecondazione assistita e viene temporizzato lo scongelamento del materiale crioconservato nel momento in cui o viene fatta una inseminazione o, nella maggior parte dei casi, quando viene fatta una fecondazione in vitro”.
Dal punto di vista strettamente giuridico si viene a perfezionare un vero e proprio contratto di locazione fra il donatore e la banca del seme. Innanzitutto il paziente deve prestare il consenso informato e rilasciare l’autorizzazione a conservare il liquido seminale per un anno. Allo scadere di tale periodo, si farà un controllo, a seguito del quale il donatore può scegliere cosa fare: se rinnovare il contratto, se procedere alla fecondazione assistita o se distruggere il materiale organico.
In ogni caso è il soggetto donatore e lui solo a decidere l’utilizzo del proprio materiale biologico e la sua eventuale distruzione. Anche per l’eventuale ritiro che può avvenire sia per utilizzare tale materiale in tecniche di programmazione medicalmente assistita, sia per trasferirlo in un altro centro di raccolta, è necessaria la richiesta e la presenza fisica del donatore, non potendo operare nessuna delega.
Problemi anche dal punto di vista bioetico si sono posti con riferimento alla morte del donatore. In questo caso il centro è autorizzato a distruggere il materiale biologico. Non è possibile per gli eredi ritirarlo o stabilirne l’uso. Il materiale genetico muore insieme al donatore.
Le possibilità oggi disponibili per intervenire nell’ambito della riproduzione aprono la questione etica sull’interpretazione della procreazione responsabile.
Si contrappongono principalmente due concezioni: i sostenitori ispirati al “diritto di natura” di ascendenza greco-cristiana, che ritengono intangibili gli equilibri naturali, legati ad un pensiero prettamente religioso-cattolico, da un lato, e i difensori di una concezione della maternità e della paternità che accentua il ruolo dell’interpretazione culturale del fenomeno, senza caricare il dato naturale di particolare significato morale, dall’altro. Questo secondo punto di vista, di derivazione laica, esclude, a differenza del primo, la presenza nella natura di un ordine trascendente. Per i cattolici, invece, l’ordine naturale ha un valore moralmente obbligante per l’uomo in quanto è segno di una legge e di una volontà divina.
L’obiezione fondamentale contro la fecondazione assistita è, infatti, proprio quella che richiama all’ordine della natura che avrebbe collegato in maniera inscindibile il momento procreativo con quello dell’unione sessuale.
Da una prospettiva laica, non è possibile proibire la finalità procreativa quando le vie naturali sono impedite da malattia. Secondo la posizione di principio cattolica la famiglia è un’associazione naturale e la cultura umana non può apportarne modifiche, ma soltanto agire per salvaguardarla e conservarla.
L’inseminazione artificiale omologa non presenta, in generale, controindicazioni o difficoltà di tipo morale, finché si tratta di aiuto terapeutico e integrativo a far sì che l’atto coniugale, in sé completo in tutte le sue componenti (fisiche, psichiche e spirituali) possa avere effetto procreativo. Anche per il Magistero della Chiesa Cattolica tale prassi non pone problemi etici, purché si attuino tecniche (in particolare per il prelevamento del seme) che siano, esse stesse, morali. Il seme dopo il prelievo può anche essere trattato, lecitamente, per una maggiore “capacitazione”. La valutazione morale dell’inseminazione omologa, comunque, è diversa a seconda che si tratti di vera e propria inseminazione artificiale o di un semplice “aiuto tecnico” all’atto coniugale.
Il Magistero cattolico, già con Pio XII e poi con Paolo IV nell’Humanae Vitae, ha posto nella Istituzione Donum Vitae un punto invalicabile: la salvaguardia dell’unità fisico-spirituale dell’atto coniugale, per cui l’intervento del ginecologo viene dichiarato lecito a patto che aiuti l’efficacia di quest’atto e il suo completamento procreativo, ma non si sostituisca a questo.
Per definire lecito un procedimento procreativo non è sufficiente l’intenzione, sia pure legittima, della coppia di avere un figlio, ma occorre che siano leciti i mezzi e i modi: di conseguenza il concepimento è lecito quando è il termine di “un atto coniugale per se stesso idoneo alla generazione della prole, al quale il matrimonio è ordinato per sua natura e per il quale i coniugi diventano una carne sola” come sancisce il codice di diritto canonico.
Lungi dal voler affrontare in maniera approfondita le questioni bioetiche che stanno alla base di ogni singola scelta, delineare a grandi passi le due posizioni più lontane fra loro era necessario.
All’eterologa possono accedere solo coppie eterosessuali, sposate o conviventi, e solo con sterilità comprovata al 100 per cento. Per poter effettuare l’intervento è necessario disporre di ovociti o spermatozoi di donatori (a seconda che l’infertilità sia maschile o femminile, o di entrambi). Ad agosto il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha stilato il regolamento con le prescrizioni tecniche sulla donazione, una parte rimasta fuori dalle linee guida emanate precedentemente. Primo limite è quello dell’età dei donatori: tra 18 e 40 anni per gli uomini e tra 20 e 35 anni per le donne. Ogni donatore può arrivare a un massimo di dieci figli, per ridurre al minimo il rischio di unioni inconsapevoli fra consanguinei (è prevista solo una deroga per la coppia che desidera dare un fratello biologico a un bambino già nato). Il conteggio dei nati verrà tenuto da un Registro nazionale, previsto con la Legge di stabilità. L’anonimato è garantito per legge: sarà possibile tracciare il donatore di ovuli o spermatozoi solo per motivi di salute del nato. Inoltre è previsto che, per quanto possibile, si mantenga lo stesso fenotipo della coppia in relazione al colore della pelle, dei capelli e anche rispetto al gruppo sanguigno del bambino. Le procedure per la selezione del donatore sono basate su esami infettivologici e genetici, per escludere la trasmissione di patologie.
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