martedì 17 novembre 2015

NON PROVARE SENTIMENTI



Dolori grandi li abbiamo vissuti tutti prima o poi, ognuno in modo diverso e per periodi più o meno lunghi, ma prima o poi, arriva l’apatia. Quando ci siamo svuotati di noi stessi, o riempiti completamente di tutt’altro, arriva il momento per alcuni più breve per altri molto lungo, in cui ci si sente completamente persi… ti sembra di non sentire nulla, di non riuscire più a provare nulla.. ti sembra di non avere più neanche un’anima, e ti senti una persona orribile… perché non riesci neanche più ad essere la buona amica di una volta, la buona figlia di una volta, o la compagna di una volta.. hai perso tutto e senti che mai più troverai una via di uscita da questa buca dove sei finita, non ci sono scale, non c’è una porta, neppure una botola segreta.. non c’è niente!

"Spesso si sentono neo-genitori raccontare di come siano stati sopraffatti da un senso di gioia e tenerezza nel momento in cui hanno visto per la prima volta i loro figli. Io non ho provato nulla di tutto ciò". Queste potrebbero sembrare le parole di un padre cinico o di un uomo affetto da patologie psichiatriche. In realtà il soggetto in questione non è né l’uno né l’altro; l’uomo infatti soffre di alexitimia (o alessitimia: letteralmente “non avere le parole per le emozioni”), una sindrome il cui sintomo principale si potrebbe sinteticamente descrivere come “cecità emotiva”.

Quando, nel 1972, per la prima volta venne descritto questo disturbo, i ricercatori pensarono che il problema centrale dell’alexitimia fosse di natura prettamente linguistica. Il concetto base era: queste persone provano le stesse emozioni di chiunque altro, ma non riescono a trasformarle in parole. Si ipotizzava che il disturbo venisse provocato dall’interruzione delle comunicazioni tra i due emisferi cerebrali. Questo blocco impediva di trasferire i segnali provenienti dalle aree del cervello deputate all’elaborazione emotiva (predominanti nell’emisfero destro) con quelle che gestiscono il linguaggio, nell’emisfero sinistro. A riprova di questa teoria venne osservato che i pazienti ai quali veniva curata chirurgicamente l’epilessia (con la resezione fisica dei collegamenti tra i due emisferi) nonostante la diminuzione degli attacchi, mostravano una marcata incapacità di descrivere i propri sentimenti.

Ai giorni nostri è appurato che esistono parecchi di tipi di alexitimia: vi sono casi nei quali il problema è quello di non riuscire a esprimere ciò che si prova e altri nei quali non si ha la consapevolezza di quel che si sente. L’alexitimia appare collegata a molte altre malattie come la schizofrenia, i disordini alimentari e soprattutto l’autismo.
Tra chi soffre di alexitimia sono molto diffusi i disturbi somatici, come il dolore cronico e il colon irritabile. Questa particolare incidenza deriverebbe da una sorta di cortocircuito cerebrale. In buona sostanza, riuscire a percepire consapevolmente le emozioni favorisce una diminuzione della sensazione fisica a essa collegata. Per esempio in una persona che prova rabbia o paura l’averne chiara comprensione andrebbe a rallentare il battito cardiaco o a diminuire la produzione di adrenalina. Ma senza questo procedimento di presa di coscienza dei propri sentimenti, nulla allevierà le sensazioni fisiche che anzi si amplificheranno. Recenti studi hanno per esempio dimostrato che chi soffre di alexitimia ha spesso una percezione eccessiva delle sensazioni corporee.



L' anaffettività  è l'incapacità da parte dell'individuo di provare o produrre affetti. Si tratta in pratica della condizione di assenza di affettività intesa come la totalità dei processi emotivi. Più in generale quindi trattasi di incapacità, più o meno patologica, di provare emozioni o di esprimere le emozioni che si riescono a provare e che quindi restano represse e non espresse.

Gli affetti, in genere, sono sentimenti di singolare intensità i quali si sottraggono al controllo della volontà. Un comportamento è definito come "affettivo" quando è causato da forti emozioni. La persona anaffettiva, invece, non prova né esprime affetti in condizioni e circostanze in cui normalmente questi vengono provati. Questo può rientrare in un quadro psicopatologico particolare e precisato (psicosi) e si esprime attraverso la difficoltà di mostrare sentimenti ed emozioni. In casi molto complessi, si accompagna ad una barriera corporea particolarmente pesante: la persona anaffettiva è anche scarsamente propensa ai contatti corporei, fino a provare imbarazzo o disagio nell’essere abbracciata.

In psicopatologia l’anaffettività non è una sindrome, ma un sintomo. Può essere presente infatti anche nell'anoressia mentale, in alcuni tipi di psicosi e in livello minore nelle nevrosi ossessive e in alcuni disturbi di personalità. Viene anche ritenuto come una lontananza emotiva, una forma di impassibilità emozionale, frequentemente di tipo difensivo che si palesa contestualmente alla presenza di emozioni particolarmente forti o che incutono paura. Anche all'interno di disturbi di personalità, infatti, e in particolar modo nel disturbo bipolare, possiamo avere questa caratteristica di anaffettività sotto forma di fase transitoria. Si può dire con certezza però che se l'amare, per un individuo, nel suo vissuto passato è risultato doloroso e frustrante, più o meno consapevolmente egli possa cominciare a reputarlo un comportamento da evitare e da scansare, creando così quella che viene ad essere una reale difficoltà nel produrre e reggere relazioni e rapporti che comportino in qualche modo l'implicazione di una certa intimità.

Le persone anaffettive hanno difficoltà ad esprimere emozioni più per paura di restare feriti che per effettiva assenza di sentimenti. L'anaffettività può dare impulso a moltiplicare l'investimento nella professione, a dare particolare importanza agli aspetti materiali e narcisistici della vita, a puntare su una regolarità che le persone intorno ritengono apprezzabile, e che sembra garantire un piacere per le 'cose' e per 'l'immagine': un piacere illusorio che può diminuire la capacità di godere di sé stessi, della vita e delle relazioni, nonché la capacità di sviluppare affetti e passioni salutari e gratificanti. A livello inconscio, è una modalità per difendersi da esperienze dolorose vissute durante l'infanzia. Sono infatti particolari situazioni traumatiche, di abbandono, di non amore che generano tale freddezza e, successivamente, quello che viene definito un totale ripiegamento emotivo. L'individuo, affinché non soffra più, si organizza attraverso il distacco emotivo difensivo. Le persone con tale caratteristica infatti, ogni volta che sono in qualche modo sfiorate dall'amore, dagli affetti, da qualsiasi forma sentimentale positiva, sono pervase dall'angoscia dell'abbandono e inconsapevolmente si difendono ibernandosi, raggelandosi negli atteggiamenti, in una sorta di anestetizzazione personale.



Il blocco affettivo è l'incapacità di esprimere affetti ed emozioni e di solito si verifica come conseguenza di motivi, tendenze o emozioni che sono in conflitto. L'anaffettività è sostanzialmente disinteresse, vero o voluto, di sentimenti verso persone che potrebbero coinvolgere emotivamente. È una difesa al proprio io (egocentrismo, istrionismo, narcisismo) che ha stabilito, fin dalla tenera età, che non vuole coinvolgimenti emotivi, perché questi lo fanno soffrire. Il risultato è un ripiegamento su se stessi e i propri bisogni, che sfociano in un uso strumentale degli altri, come se gli altri non fossero altro che oggetti a propria disposizione, per il proprio beneficio, atti a dare soddisfazioni, e da scartare il momento in cui domandassero lo stesso trattamento affettivo in cambio. Ovviamente queste persone, ma non è sempre così, non si rendono conto del loro modo di essere, che ritengono connaturato e molto normale.

L'anaffettività è da legarsi a disturbi delle aree affettivo, cognitivo e comportamentale. La problematica compare in età adulta, quando si iniziano a vivere situazioni che di norma dovrebbero far esprimere un particolare vissuto emozionale e il coinvolgimento di sentimenti, come un fidanzamento, il matrimonio, la maternità, il rapporto con i figli, le relazioni con amici e parenti. Le caratteristiche essenziali di questo disturbo sono una sorta di incapacità a provare o manifestare emozioni. È caratterizzato da tutti o alcuni dei seguenti elementi:

smodata dedizione al lavoro, importanza irragionevole ad aspetti materiali e narcisistici dell'esistenza;
comportamento regolarizzato secondo l'apprezzamento degli altri;
smodato apprezzamento sul piacere per l'estetica, l'immagine di cose e persone;
riduzione della capacità di godere di sé stessi, delle relazioni e della vita;
tentativi di fuggire dai ricordi di esperienze dolorose, del passato, dell'infanzia;
ripiegamento emotivo e freddezza;
organizzazione di un distacco emotivo difensivo;
tendenza a fuggire ogni occasione di relazioni sentimentali;
angoscia dell'abbandono;
tendenza a non credere alle altrui dichiarazioni di sentimento e affetto.
instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (es. episodica intensa disforia o irritabilità e ansia, che di solito durano poche ore e, soltanto più raramente, più di pochi giorni);
sentimenti cronici di vuoto.
Si può parlare di un ciclo di trasmissione intergenerazionale dell'anaffettività e dell'insensibilità, per cui chi ha già subìto il danno delle carenze affettive, a sua volta lo trasmette. Interrompere questa "catena" richiede un lavoro paziente e doloroso su se stessi, sul proprio vissuto passato, sui personali apprendimenti emotivi e sentimentali. Per questo è consigliabile intraprendere un percorso di psicoterapia.

È indispensabile un trattamento psicoterapico, anche se è molto difficile portare a termine tale trattamento a causa della non consapevolezza del paziente alla necessità di un intervento su questo aspetto della propria personalità. Sono di solito abbastanza casuali i fattori della remissione di questo sintomo: a volte basta un incontro importante e la personalità di un soggetto cambia notevolmente.





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