Il gesso da usare in ortopedia veniva estratto dalla creta del passo della Cisa e lavorato dai gessisti, che riuscivano a modellarlo per qualsiasi parte del corpo da bloccare. Oggi si usa ancora, soprattutto nei bambini, ma spesso è sostituito da gessi sintetici con polimeri plastici già fatti.
Gessi “vecchi” e più recenti, tuttavia, non ottengono i risultati delle nuove tecniche mininvasive, che assicurano la ripresa anche in una settimana, invece dei 3 mesi di un gesso, spiega il professor Calori. «Inoltre, i gessi possono avere effetti collaterali. Come la rigidità delle articolazioni a monte e a valle della frattura, a causa della lunga immobilità. O allergie al cotone che li riveste. Persino infezioni cutanee, se ci si gratta col ferro da calza (la ferita rimane nascosta nel gesso). Infine, se c’è una compressione eccessiva, possono risentirne circolazione e nervi, in modo anche grave».
Esistono due diversi tipi di materiale con cui confezionare una ingessatura comunemente chiamata “gesso”. Gli stessi materiali possono essere usati per confezionare docce gessate (dette mezzo gesso), immobilizzazioni e tutori temporanei.
Oltre che la struttura rigida, portante, per confezionare un gesso serve anche una maglia tubolare di Jersey di cotone per avvolgere la pelle e del cotone idrofobo in fasce (detto di Germania) per evitare che la parte dura del gesso crei sofferenze sulla pelle.
Possono anche essere confezionati gessi in resina che abbiano la caratteristica di potere essere bagnati ma sono piuttosto rari, sia per il costo dei materiali, sia perché non adatti a tutti i casi da trattare.
Ogni ingessatura assolve lo scopo per la quale è stata ideata e confezionata. Esistono anche gessi molto complessi, eseguibili da personale esperto, come le minerve gessate o i busti per la scoliosi. La maggior parte delle persone verrà trattata con gessi per gli arti. Queste ingessature potranno essere anche docce gessate o tutori, più semplici, utilizzati solo come immobilizzazione, anche per ferite o lesioni dei tessuti molli siano essi tendini o muscoli. In alcuni casi le docce gessate vengono utilizzate nel post operatorio e solo temporaneamente.
I gessi dell’arto inferiore possono essere costruiti con caratteristiche tali da consentire il carico del peso corporeo e quindi danno la possibilità di camminare. I gessi di questo tipo vengono confezionati in situazioni particolari, su decisione dell’ortopedico. Non tutti i gessi consentono di camminarci sopra (ricordo a tutti che camminare vuol dire anche muoversi a casa per andare in bagno).
Bisogna mantenerli puliti ed asciutti.
Devono essere integri, senza zone di rammollimento o rotture
I margini devono rimanere arrotondati, per tal motivo non vanno accorciati o allargati se non da persone competenti
La pelle sotto il gesso non deve essere grattata e non si deve infilare niente sotto il gesso.
Non inserire sotto il gesso polveri aspersorie o lozioni di alcun tipo anche se si tratta di prodotti per curare il prurito.
Tenere coperto il gesso se si deve soggiornare in ambienti potenzialmente sporchi.
Se il gesso è lungo sulla coscia, bisogna stare particolarmente attenti nello svolgimento delle proprie funzioni corporee ed agli arti.
Mantenere l’arto in gessato in posizione sollevata, il punto di riferimento è la posizione del cuore. Questo serve a fare sgonfiare l’arto immobilizzato.
Le parti corporee libere dal gesso (dita, articolazioni non bloccate) devono essere mantenute in movimento per favorire la circolazione del sangue.
I ricercatori sono tutti d'accordo: le tecnologie di stampa tridimensionali stanno rivoluzionando l’ortopedia. Già tra pochi anni gli esoscheletri su misura potrebbero prendere il posto del desueto gesso. E per di più molti laboratori stanno lavorando alla fabbricazione di ossa su misura.
Jake Evill, un laureato della Victoria University di Wellington, in Nuova Zelanda, lo ha letteralmente provato sulla sua pelle. Il designer per media e industria è stato ingessato a seguito di una frattura alla mano. Evill è rimasto sorpreso da quanto questa tecnica sia poco “friendly” per il paziente – lo “stucco” pruriginoso dal peso di due chilogrammi sul suo braccio gli è sembrato un po’troppo arcaico. Nei mesi più caldi i pazienti sudano moltissimo e ciò porta rapidamente alla comparsa di un odore sgradevole. Non essendoci alternative Evill si è dato da fare da solo. Il risultato: Cortex, un esoscheletro dalla struttura alveolare dalle ampie aperture. Come materia prima sono stati utilizzati dei poliammidi come il nylon. Il materiale estremamente stabile e duro risulta molto leggero. Ciò è dovuto ai legami d’idrogeno intermolecolari, simili alle proteine.
Anche con Cortex per cominciare è necessaria una radiografia per determinare la posizione esatta della frattura. Poi si passa alla scansione tridimensionale dell’arto interessato. Qui Evill utilizza Kinect, un hardware per il controllo del Xbox 360. Adesso tocca al Computer: dall’elaborazione di questi dati è possibile calcolare la geometria che deve avere l’esoscheletro per adattarsi bene al paziente e fornire sostegno dove è necessario. Per la creazione del modello tridimensionale il nostro inventore è ricorso a ZBrush, un programma di grafica di Pixologic. Alla fine tutti i dati sono stati inviati nei Paesi Bassi. Shapeways, specialista in stampa tridimensionale, ne ha ricavato un esoscheletro dallo spessore di tre millimetri e con un peso inferiore ai 500 grammi.
Volendo essere critici il nuovo artefatto presenta due gravi inconvenienti: in confronto ai calchi in gesso o in resina i costi previsti sono molto più elevati. Sia per quanto riguarda l’hardware e il software, sia per il materiale stesso. Inoltre Evill calcola che sono necessarie circa tre ore per ottenere un calco finito – rispetto ad un massimo di dieci minuti per il metodo classico. Una volta pronto però cortex agisce da subito, mentre il gesso è del tutto asciutto solo dopo un giorno. Altrimenti i medici ne riconoscono i vantaggi: la struttura geometrica esatta, il peso ridotto, la qualità estetica. I pazienti possono fare normalmente la doccia o il bagno, e la pelle è ben ventilata. Camicie a maniche lunghe e pantaloni lunghi? Non c’è problema. Rimane la questione dell’impatto ambientale: il supporto in plastica, normalmente, richiede poco materiale. A guarigione avvenuta tutti i polimeri utilizzati possono essere riciclati tramite fusione.
Per poter essere utilizzato negli ambulatori e negli ospedali l’esoscheletro deve essere ancora perfezionato, nel frattempo sono già a buon punto altre tecnologie 3D per uso ortopedico. In Belgio il Professor Dr. Jules Poukens ha voluto affrontare la sfida posta dal trattamento di una paziente anziana con processi infiammatori cronici alla mascella inferiore. A causa dell’età era da scartare la possibilità di una ricostruzione della struttura ossea tramite intervento chirurgico di lunga durata. E questa è la sua alternativa: tramite misurazione tridimensionale ha potuto ottenere un dispositivo in titanio. Tramite un potente laser la polvere di titanio è stata messa con precisione millimetrica nella forma determinata. Prima dell’intervento inoltre Poukens ha rivestito la sua creazione con degli strati bio- ceramica. Alcuni medici britannici hanno dovuto affrontare un problema simile. Dovevano rimuovere ampie zone del cranio di un paziente. Sulla base di varie scansioni CT hanno preparato una ricostruzione 3D. Il pezzo di osso era di polietere chetone chetone (PEKK).
Un’altra prospettiva per il futuro consiste nella produzione, per mezzo di stampanti 3D, di protesi da integrare nel corpo. In Germania Cynthia M. Gomes sta lavorando, presso l’Istituto federale per la ricerca e ed i test sui materiali (BAM), ad artefatti in ceramica. La sua visione: durante l’operazione i chirurghi effettuano la scansione dei difetti ossei – e ricevono immediatamente gli impianti adeguati. Questi sarebbero costituiti al 60 per cento da pori per permettere alle cellule di crescere bene. Alla fine del processo il corpo assorbe i componenti inorganici. Gomes è convinta che tra cinque anni i primi impianti potranno essere utilizzati. Presso la Washington State University il professor Amit Bandyopadhyay ha investito molte energie in una stampante tridimensionale. Il suo prototipo produce sostituti ossei in ceramica, talmente fedeli ai modelli biologici da essere confondibili. I primi test condotti su ratti e conigli hanno avuto successo. Stima però che saranno necessari ancora almeno dieci anni prima che gli esseri umani possano servirsi di questa tecnica. Il Professor Kevin Shakesheff dell’Università di Nottingham procede secondo un’altra strategia – e stampa ossa artificiali con una stampante – Bio. Si serve di scansioni TC come base per generare un Template. Poi il Bioprinter si incarica delle cellule staminali. Una volta nell’organismo questa struttura di base viene gradualmente sostituita dal tessuto osseo. Recentemente Shakesheff ha presentato il suo metodo a Londra presso l’annuale Summer Scienza Exhibtion della Royal Society.
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