Una delle prime descrizioni cliniche della sclerosi multipla è attribuita a William MacKenzie (1791-1868), un oculista scozzese. MacKenzie, nel 1840, documentò il caso di un ragazzo di 23 anni che, dopo aver accusato dei disturbi alla vista fu ricoverato al St Bartholomew's Hospital di Londra a causa di una paralisi progressiva. Durante il ricovero, il giovane paziente soffrì di disartria e incontinenza urinaria. Secondo gli appunti di MacKenzie, la maggior parte dei sintomi scomparvero dopo due mesi.
Nel 1868, il neurologo francese Jean-Martin Charcot (1825-1893) fu il primo a riconoscere la sclerosi multipla come un'entità nosologica a parte. Riassumendo i risultati dei precedenti studi e aggiungendo le sue osservazioni cliniche e patologiche, Charcot la denominò "malattia a placche sclerose". I tre segni della sclerosi multipla che identificò, oggi noti come triade di Charcot, sono: nistagmo, tremore intenzionale e parola scandita. Tuttavia questi non sono le uniche manifestazioni cliniche: Charcot osservò anche alcuni cambiamenti cognitivi, descrivendo nei suoi pazienti un "indebolimento marcato della memoria" e di "concetti che si formano lentamente".
Prima di Charcot, Robert Carswell (1793-1857), un professore inglese di patologia e Jean Cruveilhier (1791-1873), insegnante francese di anatomia patologica, avevano descritto e illustrato molti dei dettagli clinici della malattia, ma non la identificarono come una condizione a sé stante. In particolare, Carswell descrisse "una lesione notevole del midollo spinale accompagnata da atrofia". Grazie al microscopio, il patologo svizzero Georg Eduard Rindfleisch (1836-1908) osservò, nel 1863, che l'infiammazione associata alle lesioni si distribuisce attorno ai vasi sanguigni.
Dopo la descrizione di Charcot, Eugène Devic (1858-1930), Jozsef Balo (1895-1979), Paul Ferdinand Schilder (1886-1940) e Otto Marburg (1874-1948) descrissero le varianti particolari della malattia. Durante tutto il XX secolo vi fu un importante sviluppo di teorie circa la causa e la patogenesi della sclerosi multipla, mentre i trattamenti efficaci cominciarono a essere utilizzati a partire dagli anni novanta.
Vi sono diversi resoconti storici di persone che hanno vissuto antecedentemente alla prima descrizione di Charcot e che probabilmente soffrivano dalla condizione.
Alcune fonti storiche parlano di una giovane donna di nome Halldora, che viveva in Islanda verso la fine dell'XI secolo, che improvvisamente perse la vista e la mobilità, ma, dopo aver pregato i santi, guarì in sette giorni. Santa Liduina di Schiedam (1380-1433), una suora olandese, può essere considerata una delle prime pazienti in cui la malattia sia identificabile chiaramente. Dall'età di 16 anni fino alla sua morte avvenuta a 53, soffrì di dolori intermittenti, debolezza delle gambe e perdita della vista, sintomi tipici della sclerosi multipla. Entrambi i casi hanno portato all'ipotesi dell'esistenza di un "gene vichingo" per la diffusione della malattia.
Augusto Federico d'Este (1794-1848), figlio di Augusto Federico di Hannover e di Lady Augusta Murray e nipote di Giorgio III del Regno Unito, quasi certamente soffriva della malattia. Lasciò infatti un diario che descrive dettagliatamente i suoi 22 anni di convivenza con la patologia. Il racconto inizia nel 1822 e termina nel 1846. I suoi sintomi si manifestarono la prima volta a 28 anni con una improvvisa e transitoria perdita della vista (amaurosi fugace) dopo il funerale di un amico. Durante il decorso della malattia, sviluppò debolezza alle gambe, goffaggine nell'uso delle mani, intorpidimento, vertigini, disturbi della vescica urinaria e disfunzione erettile. Nel 1844, fu costretto ad usare una sedia a rotelle. Nonostante la sua malattia, continuò ad avere una visione ottimistica della vita.
Nel 2008, il chirurgo italiano Paolo Zamboni, ha osservato che la sclerosi multipla comporta un processo vascolare della malattia, riferendosi a esso come insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI, CCVI), in cui le vene del cervello sono costrette. Zamboni riscontrò la condizione nella maggior parte delle persone con sclerosi multipla, e dopo aver eseguito una procedura chirurgica per correggere il problema ha affermato che il 73% dei pazienti avevano ottenuto dei miglioramenti. Alcuni dubbi sono stati sollevati, in quanto la ricerca di Zamboni non era controllata e altri studi avevano presentato risultati contraddittori. Ciò ha creato una serie di obiezioni all'ipotesi della condizione come fattore causale della sclerosi multipla. La comunità scientifica neurologica raccomanda pertanto di non utilizzare il trattamento proposto, a meno che la sua efficacia non venga nel frattempo confermata da studi controllati, la necessità dei quali è stata riconosciuta dagli organi scientifici impegnati nella ricerca sulla sclerosi multipla.
Al 2015 non esiste una cura nota. Alcuni trattamenti farmacologici sono disponibili per evitare nuovi attacchi e prevenire le disabilità. La prognosi è difficile da prevedere e dipende da molti fattori, mentre la speranza di vita è di circa da 5 a 10 anni inferiore a quella della popolazione sana.
La sclerosi multipla è una malattia neurodegenerativa demielinizzante, cioè con lesioni a carico del sistema nervoso centrale. Per molti anni è stata considerata una malattia della sostanza bianca del sistema nervoso centrale, tuttavia un numero crescente di studi ha dimostrato anche un coinvolgimento della sostanza grigia.
Nella sclerosi multipla si verificano un danno e una perdita di mielina in più aree (da cui il nome «multipla») del sistema nervoso centrale. Queste aree di perdita di mielina (o «demielinizzazione») sono di grandezza variabile e prendono il nome di placche.
Alla base della SM dunque vi è un processo di demielinizzazione che determina danni o perdita della mielina e la formazione di lesioni (placche) che possono evolvere da una fase infiammatoria iniziale a una fase cronica, in cui assumono caratteristiche simili a cicatrici, da cui deriva il termine «sclerosi».
Nel mondo si contano circa 2,5-3 milioni di persone con SM, di cui 600.000 in Europa e circa 75.000 in Italia. La distribuzione della malattia non è uniforme: è più diffusa nelle zone lontane dall’Equatore a clima temperato, in particolare Nord Europa, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Australia del Sud. La prevalenza della malattia al contrario sembra avere una progressiva riduzione con l’avvicinarsi all’Equatore.
La SM può esordire a ogni età della vita, ma è diagnosticata per lo più tra i 20 e i 40 anni e nelle donne, che risultano colpite in numero doppio rispetto agli uomini. Per frequenza è la seconda malattia neurologica nel giovane adulto e la prima di tipo infiammatorio cronico.
La causa o meglio le cause sono ancora in parte sconosciute, tuttavia la ricerca ha fatto grandi passi nel chiarire il modo con cui la malattia agisce, permettendo così di arrivare a una diagnosi e a un trattamento precoce che consentono alle persone con SM di mantenere una buona qualità di vita per molti anni. La SM è complessa e imprevedibile, ma non riduce l’aspettativa di vita, infatti la vita media delle persone ammalate è paragonabile a quella della popolazione generale.
Molti pazienti si recano dal medico per la prima volta riferendo formicolii o la sensazione di camminare sull'ovatta. Un terzo circa di tutti i pazienti con SM riferisce queste sensazioni di formicolio o intorpidimento alle gambe o alle braccia. Tra i sintomi vi sono anche i disturbi visivi, spesso nella fase iniziale della SM. Quasi un paziente su cinque all'esordio della malattia soffre di disturbi della deambulazione e dell'equilibrio. Il 10% di loro riferisce una riduzione della forza fisica, spesso nelle gambe ma a volte anche nelle braccia. Perché la terapia farmacologica possa influenzare favorevolmente il decorso della malattia è importante diagnosticarla già ai primi sintomi: quanto più precocemente si inizia la terapia, tanto maggiore è la probabilità di rallentarne il decorso.
Alcuni malati di SM non hanno nessun sintomo per lunghi periodi, anche se forse alcune vie nervose sono state lesionate, in quanto il cervello può compensarne la perdita utilizzando vie alternative. Esiste anche un rapporto tra l'area lesionata e la probabilità che ciò causi dei sintomi. La maggior parte dei pazienti, perciò, soffre solo di un paio dei sintomi tipici della SM.
Molto probabilmente, la sclerosi multipla è causata da una combinazione di fattori genetici, ambientali e infettivi, ed eventualmente da altri fattori come alcune patologie vascolari. Studi epidemiologici della malattia hanno fornito indicazioni sulle possibili cause. Le teorie cercano di combinare i dati noti in spiegazioni plausibili, ma nessuna di queste si è rivelata definitiva.
La sclerosi multipla non è considerata una malattia ereditaria. Tuttavia, una serie di variazioni genetiche hanno dimostrato la capacità di aumentare il rischio di sviluppare la malattia. Esiste una certa relazione tra il rischio di contrarre la malattia e l'appartenenza ad un gruppo etnico.
Il rischio risulta più elevato nei parenti di una persona affetta rispetto alla popolazione generale, in particolare nel caso di fratelli, genitori e figli. La sclerosi multipla ha un tasso complessivo di ricorrenza familiare del 20%. Nel caso dei gemelli monozigoti, la concordanza si verifica solo in circa il 35% dei casi, mentre si scende a circa il 5% nel caso di semplici fratelli. Ciò a indicare che, in parte, è un tratto quantitativo. Inoltre, la malattia sembra essere più comune in alcuni gruppi etnici rispetto ad altri.
Oltre agli studi familiari, specifici geni sono stati associati alla sclerosi multipla. Alterazioni dell'antigene leucocitario umano (HLA), un gruppo di geni situati nel cromosoma 6 che codificano per il complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), sono correlate a un aumento della probabilità di sviluppare la malattia. Il dato più consistente è l'associazione tra la malattia e gli alleli HLA-DR15 e HLA-DQ6. Altri loci hanno mostrato un effetto protettivo, come HLA-C554 e HLA-DRB1*11.
Diversi fattori ambientali, di origine sia infettiva sia non infettiva, sono stati proposti come fattori di rischio per lo sviluppo di sclerosi multipla. Anche se alcuni di essi sono in parte modificabili, gli studi clinici finora realizzati non hanno determinato con certezza se la loro eliminazione può aiutare a prevenire la malattia.
I fattori ambientali riscontrati durante l'infanzia possono svolgere un ruolo importante nello sviluppo della sclerosi multipla negli anni successivi. Diversi studi effettuati su migranti mostrano che se la migrazione avviene prima dei 15 anni di età, il migrante acquisisce il rischio di malattia della nuova area, mentre, se la migrazione avviene in età successive, l'immigrato mantiene il rischio relativo al suo paese d'origine. Tuttavia, l'età geografica del rischio di sviluppare la sclerosi multipla può estendersi su un più ampio lasso di tempo. Una relazione tra la stagione di nascita e la sclerosi multipla è stata inoltre dimostrata, dando sostegno alla correlazione con la luce solare e la vitamina D. Per esempio, le persone nate nel mese di novembre hanno meno probabilità di contrarre la malattia rispetto a quelle nate in maggio.
Un grave stress può essere un fattore di rischio, anche se le prove che sostengono questa teoria sono deboli. È stato dimostrato che il fumo è un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo della sclerosi multipla. La correlazione con esposizioni professionali ad agenti ambientali, soprattutto tossine e solventi, è stata ampiamente valutata; tuttavia non è stato possibile formulare chiare conclusioni. Le vaccinazioni sono state studiate come fattori causali della malattia, tuttavia la maggior parte di questi studi non mostrano alcuna associazione. Sono stati valutati molti altri fattori di rischio possibili, come la dieta e l'assunzione di ormoni, però la loro correlazione con la malattia è risultata "scarsa e poco convincente".
Statisticamente, la gotta si verifica meno di quanto ci si aspetterebbe nelle persone con sclerosi multipla e bassi livelli di acido urico sono stati trovati nei pazienti affetti rispetto agli individui normali. Ciò ha portato alla teoria che l'acido urico possa proteggere dallo sviluppo della malattia, anche se la sua rilevanza non è nota.
Molti microorganismi sono stati proposti come potenziali fattori infettivi scatenanti la sclerosi multipla, ma nessuno di essi è stato dimostrato esserne responsabile. John Kurtzke analizzò l'incidenza della sclerosi multipla nelle Isole Fær Øer: in queste isole, situate a nord della Scozia, quindi in una zona geograficamente ad alta incidenza della malattia, non sono riportati casi praticamente fino al 1943. Successivamente si verificarono diversi picchi di incidenza, negli anni cinquanta, sessanta e ottanta, come si osserva usualmente nelle epidemie. Inoltre, ulteriori studi hanno messo in evidenza che la migrazione in età infantile correla con il rischio di sviluppare la malattia. Questi dati hanno portato a formulare la teoria che l'origine della sclerosi multipla sia da attribuire a qualche tipo di infezione dovuta a un microorganismo.
Vi è un certo numero di meccanismi proposti per spiegare l'eziologia infettiva della sclerosi multipla, tra cui l'ipotesi di igiene e l'ipotesi di prevalenza. L'ipotesi dell'igiene propone che l'esposizione precoce ai vari agenti infettivi sia un fattore protettivo contro la sclerosi multipla, ritenendo essa una risposta a un successivo incontro con tali agenti. L'ipotesi della prevalenza propone che la malattia sia dovuta a un agente patogeno più comune nelle regioni ad alta prevalenza di sclerosi multipla; si suppone che questo patogeno nella maggior parte dei soggetti provochi un'infezione asintomatica persistente e che dopo numerosi anni e soltanto in pochi casi comporti la demielinizzazione degli assoni. L'ipotesi dell'igiene ha ricevuto un sostegno maggiore, da parte della comunità scientifica, rispetto all'ipotesi della prevalenza.
Le prove che i virus possano essere annoverati tra le cause di malattia comprendono una loro presenza nella maggior parte dei pazienti con bande oligoclonali nel liquido cerebrospinale, l'associazione di diversi virus con l'encefalomielite umana e alcuni esperimenti di induzione della demielinizzazione in animali attraverso l'infezione virale. Gli Herpesviridae sono un gruppo di virus candidati a essere correlati con la sclerosi multipla. Gli individui che non sono mai stati infettati dal virus di Epstein-Barr presentano un rischio ridotto di sviluppare la malattia e quelli che lo contraggono da adolescenti hanno un rischio maggiore rispetto a quelli che lo hanno contratto in età più giovane. Anche se alcuni considerano che ciò vada contro l'ipotesi dell'igiene, altri ritengono che non vi sia alcuna contraddizione in quanto l'incontro con il patogeno avverrebbe in giovane età e la sua riattivazione all'interno del sistema nervoso centrale sarebbe la causa dello sviluppo della malattia. Altre malattie che si ipotizza possano essere correlate alla sclerosi multipla sono il morbillo, la parotite e la rosolia.
Si ritiene che la sclerosi multipla sia una malattia immunomediata causata da una complessa interazione tra la genetica dell'individuo e fattori ambientali non ancora identificati. Inoltre, si pensa che il danno sia causato dal sistema immunitario della persona che attacca il sistema nervoso, probabilmente come risultato di esposizione a una molecola con una struttura simile a una propria dell'individuo stesso.
La sclerosi multipla può colpire qualsiasi area del sistema nervoso centrale, essendo così caratterizzata, da un punto di vista clinico, da una grande varietà di segni e sintomi.
Un malato può presentare quasi ogni sintomo o segno neurologico, come la perdita di sensibilità, formicolio, pizzicore, intorpidimento (ipoestesia e parestesia), debolezza muscolare, clono, spasmi muscolari, difficoltà nel movimento o difficoltà di coordinamento ed equilibrio (atassia), problemi di linguaggio (disartria) e discinesie, per interessamento del cervelletto, o nel deglutire (disfagia). Sono frequenti segni da deterioramento cognitivo che può manifestarsi come demenza corticale, caratterizzata da disinteresse per la malattia e uno stato di euforia, o come sindrome pseudobulbare, con crisi di pianto spastico e di riso. Frequente inoltre è la comparsa di depressione, anche grave, sia come risposta alla riduzione della qualità di vita, sia come manifestazione di un deterioramento del tessuto cerebrale. Vi possono essere anche disturbi della sessualità, come impotenza e perdita di sensibilità.
Possono essere inoltre comuni problemi alla vista come nistagmo, oftalmoplegia internucleare, diplopia e neurite ottica. Quest'ultima è uno dei segni più frequenti all'esordio della malattia e comporta disturbi della visione, come offuscamento dell'immagine accompagnata spesso da dolore nella regione attorno agli occhi o al movimento bulbare. All'esame del campo visivo si può avere presenza di scotoma centrale o, più raramente, emianopsia per flogosi del chiasma ottico o delle vie ottiche; solo raramente si ha la perdita completa della vista.
La malattia può portare anche a difficoltà nel controllo della vescica, con minzione frequente e/o impellente fino all'incontinenza accompagnata, alle volte, dall'incompleto svuotamento della stessa. I problemi intestinali legati alla sclerosi multipla si manifestano con stipsi, diarrea o vera e propria incontinenza fecale.
Due segni clinici sono particolarmente caratteristici, anche se non specifici, della sclerosi multipla: il segno di Uhthoff, un aggravamento dei sintomi esistenti a causa di una esposizione a temperature ambientali più elevate del solito e il segno di Lhermitte, una sensazione di scossa elettrica che percorre la colonna vertebrale e gli arti inferiori in seguito a flessione o, più raramente, in estensione del collo. La scala clinica più utilizzata per indicare la progressione della disabilità e la gravità dei sintomi è la Expanded Disability Status Scale o EDSS, proposta nel 1983 dal neurologo statunitense John Kurtzke.
I sintomi della sclerosi multipla solitamente appaiono in episodici periodi di peggioramento acuto (chiamati ricadute, esacerbazioni, attacchi o "flare-up"), in un peggioramento graduale e progressivo della funzione neurologica o in una combinazione di entrambi. Le ricadute della sclerosi multipla sono spesso imprevedibili, e si verificano senza preavviso e senza evidenti fattori di promozione, con un tasso di frequenza raramente superiore a un episodio e mezzo all'anno. Alcuni attacchi, tuttavia, sono preceduti da inneschi comuni. Le recidive sono più frequenti durante la primavera e l'estate. Infezioni virali, come il raffreddore comune, l'influenza e la gastroenterite, possono aumentare il rischio di recidiva, così come lo stress può scatenare un attacco. La gravidanza influenza la suscettibilità alla ricaduta, con un tasso di recidiva inferiore a uno per ogni trimestre di gestazione. Durante i primi mesi dopo il parto, però, il rischio di recidiva è maggiore. In generale, la gravidanza non sembra influenzare la disabilità a lungo termine. Molti potenziali fattori scatenanti sono stati esaminati e ritenuti non in grado di influenzare i tassi di recidiva della malattia. Non vi sono prove che l'allattamento al seno e la vaccinazione, un trauma fisico o il segno di Uhthoff siano responsabili di ricadute.
In base al decorso clinico della malattia, si possono distinguere diverse tipologie di sclerosi multipla. Non è però possibile, alla prima manifestazione dei suoi sintomi o alla prima "recidiva", classificarla in una forma piuttosto che in un’altra. È altresì molto difficile capire come essa evolverà nel tempo. Il decorso clinico della sclerosi multipla varia da paziente a paziente e può mutare nel corso del tempo. In alcuni casi si manifesta una grave disabilità già dopo il primo attacco, in altri casi, dopo la prima "remissione", possono trascorrere dei decenni senza che si manifesti alcun sintomo.
La sclerosi multipla in forma benigna è caratterizzata da una o due o più recidive con remissione completa. La diagnosi può essere effettuata solo dopo 10-15 anni dall'esordio dei primi sintomi. Questa forma ha per lo più un esordio di tipo sensorio, non è invalidante oppure in maniera lieve, anche se in alcuni casi può evolvere in una forma progressiva. Questa forma interessa meno del 10% dei casi.
Nella maggior parte dei pazienti i segni e i sintomi tendono a comparire e a scomparire, soprattutto durante i primi anni dall'esordio. La comparsa dei sintomi viene definita "recidiva" o "poussèes", con la quale si intende una situazione di fase attiva della sclerosi multipla; essa si manifesta con la comparsa di nuovi sintomi o con l’aggravarsi di quelli preesistenti.
La scomparsa completa o incompleta dei sintomi viene invece indicata con il termine di "remissione". A una recidiva, nella forma recidivante-remittente, segue un periodo di remissione. L'intervallo che intercorre tra due ricadute non è un dato costante, poiché può andare da alcune settimane ad alcuni anni. Nei primi tempi le ricadute sono seguite da una completa ripresa; tuttavia, col trascorrere del tempo, la regressione che segue alla ricaduta tende a farsi sempre meno completa. La forma recidivante-remittente è caratterizzata da assenza di progressione tra una ricaduta e l'altra.
Dopo 5-10 anni in media dal suo esordio e nell'85% dei casi, la forma recidivante-remittente può evolvere in una forma secondariamente progressiva.
La forma recidivante-remittente, in alcuni pazienti, dopo alcuni anni può entrare in una fase transizionale. In questo caso gli attacchi si ripetono a frequenza ravvicinata senza entrare, quasi mai, nello stato di quiescenza. L’intervallo che intercorre tra una ricaduta a l’altra è molto breve e solitamente gli attacchi tendono ad avere lo stesso bersaglio.
Questo stadio rappresenta la condizione più difficile e più impegnativa, poiché corrisponde a un peggioramento costante delle condizioni del paziente, che è ad alto rischio di sviluppare sclerosi multipla secondaria progressiva.
La forma secondariamente progressiva ha un andamento iniziale di tipo recidivante-remittente cui fa seguito una forma secondariamente progressiva che si presenta con o senza recidive superimposte e con possibili fasi di relativa remissione e stabilizzazione. Nel caso in cui si verifichino delle ricadute, i recuperi sono incompleti e si assiste ad una progressione dei deficit anche nei periodi che intercorrono tra una ricaduta e l’altra.
Riguarda circa il 30% delle persone affette da sclerosi multipla.
In alcuni casi la malattia esordisce sin dall'inizio con un andamento progressivo caratterizzato da possibili fasi di relativo miglioramento e stabilizzazione. Questa forma si verifica in circa il 10-15% dei casi.
La forma progressivo recidivante (SM-RP) è caratterizzata da un decorso progressivo fin dall'esordio, con recidive seguite o meno da recupero. Gli intervalli tra una ricaduta e l'altra sono caratterizzati da una continua progressione della malattia, a differenza della forma recidivante-remittente dove l'intervallo che intercorre tra due ricadute è privo di progressione.
La sclerosi multipla può essere difficile da diagnosticare in quanto i suoi segni e sintomi possono essere simili ad altre malattie. Le organizzazioni mediche hanno creato criteri diagnostici per facilitare e standardizzare il processo diagnostico soprattutto nelle prime fasi della malattia e tra questi, storicamente, i criteri di Poser e Schumacher hanno goduto di grande popolarità.
I criteri di McDonald si concentrano su una dimostrazione effettuata tramite dati clinici, di laboratorio e radiologici della diffusione delle lesioni della sclerosi multipla, nel tempo e nello spazio, per giungere a una diagnosi non invasiva. Tuttavia, alcuni studi hanno affermato che la diagnosi sicura di sclerosi multipla può essere fatta esclusivamente in sede autoptica oppure occasionalmente mediante biopsia, con la quale le lesioni tipiche della malattia possono essere rilevate attraverso tecniche istopatologiche.
I dati clinici, da soli, non possono essere sufficienti per una diagnosi. Gli strumenti più comunemente usati per la diagnosi sono l'imaging biomedico, l'analisi del liquido cerebrospinale e lo studio dei potenziali evocati. La risonanza magnetica del cervello e del midollo spinale mostra aree di demielinizzazione (lesioni o placche) e il gadolinio può essere somministrato per via endovenosa come mezzo di contrasto in dose doppia per evidenziare le placche attive e, per eliminazione, dimostrare l'esistenza di lesioni storiche non associate ai sintomi presenti al momento della valutazione. Le lesioni demielinizzanti, alla risonanza magnetica, appaiono come aree focali “brillanti”, più spesso di forma irregolare, ovoidale o rotondeggiante, a segnale iperintenso nelle sequenze pesate in T2 e principalmente distribuite attorno ai ventricoli laterali, nella sostanza bianca del tronco encefalico, del cervelletto e del midollo spinale. Tuttavia, il tradizionale esame a risonanza magnetica non ha sensibilità e specificità sufficienti per rivelare il vero grado delle alterazioni patologiche tipiche della sclerosi multipla. Nuove tecniche, quali la misurazione delle lesioni ipointense pesate in T1, l'imaging con tensore di diffusione, la spettroscopia di risonanza magnetica, l'imaging di suscettibilità magnetica, sono in fase di sperimentazione. La tomografia a emissione di positroni è in grado di rilevare le lesioni infiammatorie del midollo spinale, grazie al fluorodesossiglucosio usato come tracciante radioattivo.
L'analisi del liquido cerebrospinale, ottenuto tramite una puntura lombare, può fornire la prova di infiammazione cronica del sistema nervoso centrale. Il liquido cerebrospinale è testato per bande oligoclonali di IgG in elettroforesi e i marcatori dell'infiammazione si trovano nel 75-85% delle persone affette dalla malattia. Il sistema nervoso di una persona con sclerosi multipla risponde meno attivamente alla stimolazione del nervo ottico e dei nervi sensitivi, a causa della demielinizzazione di questi ultimi. La velocità di tali risposte cerebrali può essere valutata usando i potenziali evocati visivi e sensoriali.
La diagnosi differenziale della sclerosi multipla comprende una varietà di malattie. Oltre alle malattie infettive (in particolare la neurosifilide, la neuroborreliosi o l'infezione da HIV), altre patologie infiammatorie croniche (ad esempio connettivite indifferenziata e vasculiti) devono essere escluse per una diagnosi. Altre malattie demielinizzanti infiammatorie (ad esempio, la malattia di Devic e l'encefalomielite acuta disseminata) devono essere prese in considerazione. Malattie del metabolismo (come la leucodistrofia) possono portare a sintomi simili, così come una carenza di vitamina B12. Deve essere considerata anche la possibilità che i sintomi siano di natura psichiatrica.
Non esiste una cura definitiva per la sclerosi multipla. È difficile determinare gli effetti terapeutici di trattamenti sperimentali, trattandosi di una malattia caratterizzata per la maggior parte dei casi da remissioni spontanee. Tuttavia, i farmaci oggi impiegati sono in grado di influenzare positivamente il decorso della malattia e di ridurne l'attività, ma ancora non rappresentano una soluzione definitiva al problema. Gli obiettivi primari della terapia sono di impedire nuovi attacchi e di prevenire le disabilità. Come per qualsiasi trattamento medico, i farmaci utilizzati per la sclerosi multipla hanno diversi effetti collaterali. Alcuni pazienti seguono trattamenti alternativi, nonostante la mancanza di studi scientifici affidabili a sostegno.
In passato, il trattamento principale della sclerosi multipla era rappresentato da farmaci antinfiammatori steroidei quali l'adrenocorticotropina (conosciuto come ACTH), il prednisone, il metilprednisolone, il prednisolone, il betametasone e il dexametasone. Studi hanno dimostrato come la somministrazione endovenosa di metilprednisolone abbia un'efficacia superiore rispetto alla somministrazione intravenosa di adrenocorticotropina.
Durante gli attacchi sintomatici, la somministrazione di alte dosi di corticosteroidi per via endovenosa, come il metilprednisolone, è la terapia di routine per le recidive acute della malattia in forma recidivante-remittente, in quanto ha dimostrato efficacia nel ridurre la gravità e la durata delle esacerbazioni. Alti dosaggi di metilprednisolone si sono dimostrati efficaci, inoltre, nel migliorare la spasticità nelle forme di sclerosi multipla progressiva. Anche se generalmente efficace nel breve termine per alleviare i sintomi, il trattamento con corticosteroidi non sembra avere un impatto significativo nel recupero a lungo termine. Le somministrazioni orali ed endovenose sembrano avere un'efficacia comparabile. Le conseguenze di attacchi gravi che non rispondono ai corticosteroidi possono essere trattate con la plasmaferesi.
A settembre del 2012, sette farmaci modificanti la malattia risultano approvati dalle agenzie di controllo di diversi paesi, tra cui la Food and Drug Administration (FDA) statunitense.
I sette farmaci approvati sono l'interferone beta-1a, l'interferone beta-1b, il glatiramer acetato, il mitoxantrone (un immunosoppressore usato anche in chemioterapia), il natalizumab (un anticorpo monoclonale umanizzato immunomodulatore che impedisce la migrazione delle cellule T dal torrente circolatorio al sistema nervoso centrale), il fingolimod e il teriflunomide, rispettivamente il primo e il secondo farmaco a somministrazione orale a essere disponibili. La maggior parte di questi farmaci sono approvati solo per la forma recidivante-remittente. Gli interferoni e il glatiramer acetato devono essere somministrati attraverso frequenti iniezioni: settimanalmente (ma tramite iniezione intra-muscolare) i primi, una volta al giorno il secondo. Diversamente, il natalizumab e il mitoxantrone vengono iniettati a intervalli mensili per infusione venosa.
Tutti e sette i tipi di farmaci risultano essere modestamente efficaci nel ridurre il numero di attacchi nella sclerosi multipla recidivante-remittente (SMRR), tuttavia la capacità degli interferoni e del glatiramer acetato è più controversa. Gli studi sui loro effetti a lungo termine sono ancora carenti.
Il confronto tra gli immunomodulatori (tutti tranne il mitoxantrone) mostra che il più efficace è il natalizumab, sia in termini di riduzione del tasso di recidiva, sia per capacità di arrestare la progressione della disabilità. Il mitoxantrone può essere considerato il più efficace di tutti; tuttavia, non è generalmente considerato come un terapia a lungo termine e il suo uso è limitato da gravi effetti secondari. La prima presentazione clinica della SMRR è la sindrome clinicamente isolata (CIS). Il trattamento con interferoni durante un attacco iniziale può diminuire la probabilità che una persona sviluppi la sclerosi multipla di forma clinica.
Il trattamento della sclerosi multipla progressiva è più difficile rispetto alla sclerosi multipla recidivante-remittente. Il mitoxantrone ha mostrato effetti positivi nei pazienti con forme secondarie-progressive e progressive-recidivanti. Si è infatti dimostrato moderatamente efficace nel ridurre la progressione della malattia e la frequenza delle recidive in un breve periodo di follow-up. Nessun trattamento si è dimostrato in grado di modificare il decorso della sclerosi multipla primaria-progressiva. Sono state effettuate diverse ricerche sui possibili trattamenti specifici per questa forma, tra cui alcuni studi con interferone e mitoxantrone, un trial clinico di fase III con il glatiramer acetato e un'altra ricerca che vede l'utilizzo del riluzolo. Alcuni pazienti con sclerosi multipla primaria-progressiva sono stati inclusi in studi che impiegavano azatioprina, metotrexato, cladribina, immunoglobuline somministrate per via endovenosa, ciclofosfamide e prove di trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Tuttavia, nessun trattamento provato ha dimostrato la capacità di modificare il decorso della malattia.
Come per molti trattamenti medici, questi farmaci presentano diversi effetti collaterali. Uno dei più comuni è l'irritazione sul sito di iniezione per i trattamenti con glatiramer e interferone. Nel corso del tempo, si può sviluppare una visibile depressione nel sito di iniezione, a causa della distruzione del tessuto adiposo locale, fenomeno noto come lipoatrofia. Gli interferoni producono sintomi simili a quelli dell'influenza. Alcune persone che assumono glatiramer sperimentano una reazione post-iniezione che si manifesta con vampate di calore, senso di costrizione toracica, cardiopalmo, mancanza di respiro e ansia, che solitamente dura meno di trenta minuti. Più pericolosi, ma molto meno comuni, possono essere danni al fegato causati dalla somministrazione di interferoni, cardiotossicità grave, sterilità e leucemia mieloide acuta da mitoxantrone; vi può essere un collegamento putativo tra il natalizumab e alcuni casi di leucoencefalopatia multifocale progressiva.
Il meccanismo di formazione dei radicali liberi della perossidazione lipidica. Si ritiene che esso possa avere un ruolo nell'evoluzione della sclerosi multipla.
In letteratura medica esistono numerose pubblicazioni che vanno a descrivere il ruolo dell’ossidazione e perossidazione lipidica nella evoluzione della sclerosi multipla. Ciò che ancora non è stato dimostrato è se un miglioramento dello stato antiossidante di pazienti con sclerosi multipla possa influenzare la progressione della malattia.
Gli antiossidanti comunemente impiegati comprendono il selenio e le vitamine A, C ed E. Altri componenti appartenenti alla categoria degli antiossidanti sono l'acido lipoico, l'inosina, l'acido urico, il coenzima Q-10.
Tuttavia, molti componenti antiossidanti attivano cellule immunitarie quali, in primo luogo, i linfociti T e i macrofagi. Tali cellule sono già eccessivamente attive nella malattia e la loro stimolazione potrebbe potenzialmente aggravarla. Secondo l'International Medical and Scientific Board (IMSB), vi è un'evidenza sperimentale e teorica per cui gli antiossidanti potrebbero avere significato terapeutico nella sclerosi multipla. D’altro canto non sono stati condotti studi clinici ben definiti che indichino se gli antiossidanti siano in realtà sicuri ed efficaci nella malattia.
I trattamenti modificanti la malattia sono in grado di ridurre il tasso di progressione della malattia, ma non di arrestarla. Con la progressione della sclerosi multipla, la sua sintomatologia tende ad aumentare. La malattia è associata a una varietà di sintomi e deficit funzionali che si traducono in una serie di menomazioni e disabilità progressive. La gestione di questi deficit è quindi molto importante. Sia la terapia farmacologica che la neuroriabilitazione hanno dimostrato di poter alleviare alcuni sintomi, anche se non influenzano la progressione della malattia. Alcuni sintomi, come l'incontinenza urinaria e la spasticità, hanno una buona risposta ai farmaci, mentre la gestione di molti altri risulta più complessa. Le persone colpite da sclerosi multipla necessitano, inoltre, di una terapia rivolta alle eventuali malattie collaterali, alle infezioni delle vie urinarie e alle piaghe da decubito. Molto utili contro la spasticità degli arti si sono dimostrati i farmaci miorilassanti e la fisiochinesiterapia. Nell'ambito delle terapie sintomatiche, è possibile usare, a seconda del tipo di disturbi e della loro entità, farmaci per la spasticità, la fatica, le disfunzioni vescicali, i disturbi delle sensibilità e così via. Il farmaco di prima scelta nel trattamento della spasticità è il baclofen.
La terapia fisica supervisionata può essere utile per migliorare alcune conseguenze della malattia.
Per quanto riguarda le persone con deficit neurologici, si ritiene che un approccio multidisciplinare sia la chiave per migliorare la qualità della vita. Tuttavia, ci sono particolari difficoltà a specificare un "team centrale", poiché i pazienti affetti dalla condizione possono aver bisogno, a un certo punto, di assistenza da parte di quasi tutte le professioni sanitarie.
Storicamente, agli individui affetti da sclerosi multipla veniva sconsigliata la partecipazione all'attività fisica a causa di un peggioramento dei sintomi. Tuttavia, sotto la direzione di un fisioterapista, la partecipazione ad attività fisiche può essere considerata sicura e utile. La ricerca medica ha sostenuto il ruolo riabilitativo dell'attività fisica nel migliorare la forza muscolare, la mobilità, lo stato psichico e la funzionalità intestinale, condizionando positivamente la qualità della vita in generale. Tuttavia, si deve prestare attenzione all'eventuale surriscaldamento di un paziente durante lo svolgimento degli esercizi. I fisioterapisti hanno l'esperienza necessaria per prescrivere adeguati programmi di esercizi che sono adatti per l'individuo. L'equazione FITT (frequenza di esercizio, l'intensità di esercizio, tipo di esercizio e tempo di esercizio) viene in genere utilizzata per prescriverli. A seconda della persona, le attività possono comprendere esercizi di resistenza, grazie a camminate e al nuoto, ed esercizi di yoga, tai chi e altri. La pianificazione di un adeguato esercizio fisico deve essere attentamente effettuata per ogni paziente, in modo da tenere conto di tutte le controindicazioni e precauzioni. Vi sono alcune evidenze che le misure di raffreddamento sono efficaci nel consentire una maggiore intensità nell'esercizio fisico.
Esistono numerose evidenze aneddotiche di pazienti affetti da sclerosi multipla che riferiscono un beneficio sintomatologico in seguito all'assunzione di cannabinoidi, soprattutto per quanto riguarda la spasticità e il dolore neuropatico.
Tali sostanze esercitano il loro effetto terapeutico attraverso la stimolazione dei recettori cannabinoidi (CB1 e CB2), la cui attivazione ha dimostrato, in modelli sperimentali, di avere un ruolo importante nel contrastare i processi infiammatori demielinizzanti.
In epoca recente, sono stati condotti numerosi studi clinici controllati, in doppio cieco, versus placebo per verificare l'efficacia dei cannabinoidi nella sclerosi multipla. Sono stati saggiati sia cannabinoidi sintetici, sia estratti naturali standardizzati, assumibili per via orale o oromucosale, sia cannabis grezza in forma di infiorescenze, assunta tramite inalazione o fumo.
I risultati di tali studi sono in parte contraddittori, ma nel complesso confermano l'efficacia dei cannabinoidi nel ridurre la spasticità e i sintomi a essa associati, con un buon profilo di sicurezza e tollerabilità. I risultati discordanti si spiegano con il fatto che la spasticità è un sintomo molto difficile da valutare attendibilmente e obiettivamente.
Una revisione di tutti gli studi pubblicati sino al 2012 ha portato gli Autori alla conclusione che
« La somministrazione di cannabinoidi ha dimostrato di essere una opzione terapeutica ben tollerata per il trattamento della spasticità in pazienti affetti da SM che non rispondono soddisfacentemente ai farmaci antispastici tradizionali. »
A seguito di tali evidenze, dal 2005 è disponibile nelle farmacie canadesi il Sativex, un estratto naturale a contenuto standardizzato di cannabinoidi (THC e CBD), registrato come farmaco sintomatico per il trattamento del dolore neuropatico nella sclerosi multipla. Negli anni successivi tale farmaco è stato autorizzato all'introduzione in commercio anche in diversi paesi europei (Regno Unito, Spagna, Germania, Danimarca) e procedure di registrazione sono in corso in altri paesi tra cui Italia, Svezia, Austria e Repubblica Ceca. Esistono inoltre specialità medicinali a base di infiorescenze di Cannabis sativa a contenuto standardizzato di principio attivo, tra cui il Bedrocan, disponibili presso le farmacie olandesi e importabili in altri paesi, tra cui l'Italia.
Gli effetti collaterali più frequenti, osservati in circa il 10% dei pazienti, sono stanchezza e vertigini, disturbi psichici e secchezza delle fauci. Non sono stati osservati effetti collaterali importanti sulle funzioni cognitive, con una tossicità complessiva modesta. Gli effetti collaterali in genere si riducono dopo la prima settimana di terapia.
Allo stato attuale il trattamento con cannabinoidi è pertanto raccomandato, come terapia di seconda linea, per il trattamento della spasticità e del dolore neuropatico, nei pazienti che abbiano sperimentato senza successo i trattamenti convenzionali.
La vitamina D, specialmente nella sua nella sua forma D3, il colecalciferolo, potrebbe trovare applicazione nel trattamento della sclerosi multipla a causa degli effetti immunomodulatori che ha nei confronti delle cellule T cronicamente attivate.
Mentre bassi livelli di vitamina D sono correlati con un più alto rischio di contrarre la sclerosi multipla e in forma più grave, elevati livelli parrebbero associati a un minor numero di ricadute, un minor numero di nuove lesioni e a condizioni cliniche e di movimento migliori. Uno studio del 2012 ha rilevato che, per ogni aumento di 10 ng/ml di vitamina D nel sangue, il rischio di nuove lesioni diminuisce del 15% e il rischio di ricaduta del 32%.
Molti pazienti affetti da sclerosi multipla utilizzano la medicina complementare e alternativa. A seconda dei trattamenti, l'evidenza scientifica sulla loro efficacia è debole o assente. Esempi possono essere il mantenimento di un dato tipo di regime dietetico, l'uso di prodotti di erboristeria, l'ossigenoterapia iperbarica e l'auto infezione con il Necator americanus, un parassita (generalmente conosciuta come la terapia da elmintiasi).
Per un paziente affetto dal sclerosi multipla, la prognosi dipende dal sottotipo della malattia, dal sesso, dall'età, dai sintomi iniziali e dal grado di disabilità raggiunto. Di sclerosi multipla non si muore, salvo alcune rare eccezioni (casi rapidamente progressivi, forma maligna). La malattia evolve e avanza per più decenni e la media degli anni che passano dalla comparsa dei sintomi alla morte è 30. Tuttavia, una statistica retrospettiva ha evidenziato come la sopravvivenza a 25 anni sia solo quasi l'85% di quella attesa.
Il sesso femminile, il sottotipo recidivante-remittente, esordio con neurite ottica o sintomi sensoriali, rari attacchi nei primi anni, giovane età nelle prime fasi di insorgenza e periodi lunghi tra un attacco e l'altro, sono caratteristiche associate a un decorso migliore. Hanno una prognosi più sfavorevole le forme in cui vi è stato un esordio tardivo, caratterizzate da molti sintomi diversi che riguardano soprattutto le funzioni cerebellari e motorie.
L'aspettativa di vita delle persone con sclerosi multipla è da 5 a 10 anni inferiore a quella delle persone non affette. Quasi il 40% delle persone con la malattia raggiunge la settima decade di vita. Tuttavia, due terzi dei decessi dei pazienti sono direttamente correlati alle conseguenze della malattia. I tassi di suicidio sono maggiori rispetto a quelli relativi alla popolazione sana, mentre le infezioni e le complicanze sono particolarmente pericolose.
Anche se la maggior parte delle persone perde la capacità di camminare prima della morte, il 90% è ancora in grado di deambulare indipendentemente a 10 anni dall'esordio e il 75% a 15 anni.
Nei soggetti con elevato grado di disabilità sono frequenti le infezioni delle vie urinarie e quelle ricorrenti dell'apparato respiratorio, spesso dovute a polmonite ab ingestis, che in rari casi possono anche essere causa di decesso. Possono inoltre svilupparsi piaghe da decubito dovute all'allettamento.
La ricerca riguardo ai trattamenti per la sclerosi multipla comprende anche gli studi sulla patogenesi della malattia e la sua eterogeneità, allo scopo di mettere a punto cure più efficaci, convenienti e meglio tollerabili per i pazienti, nonché la sperimentazione di terapie valide per i sottotipi progressivi, per le strategie di neuroprotezione e per il trattamento dei sintomi. Vi sono un certo numero di possibili trattamenti, in fase di verifica, che auspicano di poter limitare gli attacchi o di migliorare la funzionalità neurologica. Per la forma recidivante-remittente, i farmaci che hanno dimostrato, in fase 2, risultati promettenti, includono: alemtuzumab, daclizumab, rituximab, dirucotide, BHT-3009, cladribina, dimetilfumarato, estriolo, laquinimod, interferone PEGilato-ß-1a, minociclina, statine, temsirolimus e teriflunomide.
Nel 2010, un comitato di approvazione della Food and Drug Administration (FDA) ha raccomandato l'uso del Fingolimod per il trattamento degli attacchi di sclerosi multipla, e il 22 settembre 2010, il fingolimod è diventato il primo farmaco orale approvato dalla FDA al fine di ridurre le recidive e la disabilità in pazienti che presentano forme recidivanti di sclerosi multipla. Gli studi clinici riguardo al fingolimod hanno dimostrato, tuttavia, effetti collaterali, tra cui malattie cardiovascolari, edema maculare, infezioni, tossicità epatica e sviluppo di tumori maligni.
Molto interesse è stato focalizzato sulla prospettiva di utilizzare gli analoghi della vitamina D nella prevenzione e gestione dei casi recidivanti, soprattutto dato il suo possibile ruolo nella patogenesi della malattia. Mentre non vi è evidenza certa di benefici forniti dalla somministrazione di naltrexone a basso dosaggio, un farmaco semisintetico antagonista puro degli oppioidi. Al 2012, sono stati pubblicati i risultati di un unico studio pilota dell'uso del farmaco nei casi di sclerosi multipla progressiva primaria. Esistono dati a sostegno dell'impiego di bassi dosaggi di naltrexone (Antaxone) nel trattamento della sclerosi multipla e il naltrexone sembra non solo prevenire le recidive di sclerosi multipla, ma ridurrebbe anche la progressione della malattia.
La presentazione clinica variabile della sclerosi multipla e la mancanza di test diagnostici di laboratorio certi possono portare a ritardi nella diagnosi e all'impossibilità di prevedere una prognosi. Nuovi metodi diagnostici sono oggetto di studi. Questi includono test con anticorpi anti-mielina, l'analisi dell'espressione genica tramite microarray e studi sul siero e sul liquido cerebrospinale. Tuttavia nessuno di questi studi ha dato risultati positivi e affidabili.
Al 2012, non vi sono indagini di laboratorio disponibili che possono predire una prognosi. Tuttavia, diversi approcci promettenti sono stati proposti. Le indagini sulla previsione dell'evoluzione si sono concentrate sulle attività di monitoraggio della malattia. I biomarcatori dell'attivazione della malattia comprendono l'interleuchina 6, l'ossido nitrico e l'ossido nitrico sintasi, l'osteopontina e la fetuina-A. D'altra parte, poiché la progressione della malattia è il risultato di una neurodegenerazione, il ruolo delle proteine indicative della perdita neuronale, assonale e gliale come i neurofilamenti, la proteina tau e l'N-acetilaspartato, sono sotto studio.
Un campo di studio determinante è la ricerca di biomarcatori che distinguono tra i farmaci responder e non responder.
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