L'origine esatta della sifilide è tuttora sconosciuta. A lungo la storiografia europea ha sostenuto che la malattia si fosse diffusa dalle Americhe nel vecchio continente per mezzo dei marinai di Cristoforo Colombo.
Da tempo questa tesi è stata parzialmente messa in discussione, ma uno studio pubblicato nel 2011 l'ha riportata nuovamente in auge. Gli scavi presso il monastero agostiniano di Kingston-upon-Hull, nel nord-est dell'Inghilterra, hanno portato alla luce scheletri di persone decedute prima del viaggio di Colombo, con evidenti segni della terza fase della malattia. Uno studio condotto dall'Università di Oxford e di Sheffield, attraverso il metodo del radiocarbonio, hanno stimato una datazione intorno al 1340, ma uno studio antropologico più recente ha dimostrato che solo una minoranza dei reperti rinvenuti presso il monastero presenta i segni diagnostici della sifilide, e la datazione fornita col metodo del radiocarbonio dev'essere opportunamente corretta tenendo conto del marine reservoir effect (effetto serbatoio marino) che può diventare significativo presso popolazioni che vivono in prossimità del mare, nutrendosi con un'alimentazione prevalentemente a base di pesce. Secondo i ricercatori, infatti, la minoranza dei reperti con evidenti segni di sifilide risale al periodo post-colombiano, ma fornisce una datazione antecedente a causa della bassa velocità con cui il flusso del carbonio passa negli ecosistemi marini, sino a giungere ad essere organicato nei tessuti attraverso la rete trofica. Nondimeno, studi condotti negli anni settanta hanno evidenziato tracce di sifilide o almeno di treponematosi su diversi campioni ossei precolombiani originari dell'Argentina, del Perù, del Messico, del Guatemala, delle Antille e di alcune regioni degli Stati Uniti.
Sembra che la prima epidemia di sifilide conosciuta sia scoppiata a Napoli nel 1495, a seguito della discesa del re francese Carlo VIII, il cui esercito era composto per lo più da mercenari: fiamminghi, guasconi, svizzeri, italiani e spagnoli. Durante la Battaglia di Fornovo, che ebbe luogo il 6 luglio 1495, furono rese note le prime descrizioni di questa malattia: Alessandro Benedetti, un medico veneziano di stanza a Fornovo, descrisse malati che avevano perso gli occhi, le mani, il naso, i piedi:
« Al momento in cui pubblico la mia opera, tramite contatto venereo è giunta a noi dall’Occidente una malattia nuova, o quantomeno sconosciuta ai medici che ci hanno preceduto, il mal francese. Tutto il corpo acquista un aspetto così ripugnante, e le sofferenze sono così atroci, soprattutto la notte, che questa malattia sorpassa in orrore la lebbra, generalmente incurabile, o l’elefantiasi, e la vita è in pericolo »
(Alexandri Benedicti Veronensis, Physici Historiae Corporis Humani, 1497)
Il ritorno dell'esercito francese verso nord diffuse la malattia in tutta Italia, per poi espanderla in tutta Europa, giungendo sino in Oriente. La malattia venne quindi conosciuta in quasi tutta Europa con il nome di mal francese, tranne in Francia, dove prese il nome di mal napolitain. Una teoria americanista sull'origine della malattia è stata formulata dal medico spagnolo Ruy Diaz de Isla, che nel 1539 scrisse il libro Tractado contra el mal serpentino que vulgarmente en España es llamado bubas, in riferimento alle cure da lui effettuate a Barcellona nel 1493, ad alcuni marinai di Colombo, affetti da una nuova malattia che identificò come sifilide. Anche Bartolomé de Las Casas, che soggiornò nell’isola di Hispaniola nel 1502, ebbe ad affermare nella sua Storia generale delle Indie:
« C’erano e ci sono due cose in quest’isola che all’inizio furono molto penose per gli spagnoli: una è la malattia delle bubas che in Italia si chiama mal francese. È accertato che essa venne da quell’isola, e questo accadde, o al ritorno dell’ammiraglio Don Cristobal Colon, quando assieme alla notizia della scoperta delle Indie giunsero i primi indiani che io vidi fin dal loro arrivo a Siviglia, i quali importarono le bubas in Spagna infettando l’aria o in tutt’altro modo; o al tempo del primo ritorno a Castiglia, quando rientrarono alcuni spagnoli con le bubas, e questo poteva accadere tra il 1494 e il 1496. Io personalmente mi sono impegnato a più riprese a chiedere agli indiani se questo male esisteva già da tempo dalle loro parti, ed essi risposero affermativamente. È anche accertato che tutti gli spagnoli incontinenti che su quell’isola non osservavano affatto la virtù della castità, furono colpiti dalle bubas e che, su cento, non ne sfuggì uno solo, salvo nel caso in cui l’altra parte non avesse mai avuto le bubas »
(Bartolomé de Las Casas, Historia general de las Indias, Madrid, 1876)
La storia dell'attribuzione del nome sifilide è invece più chiara. Infatti, fu il medico e scienziato veronese Girolamo Fracastoro che impose questo termine, con la sua opera del 1530 Syphilis sive morbus gallicus ("Sifilide o il mal francese") e con il trattato De contagione et contagiosis morbis ("Sul contagio e sulle malattie contagiose") del 1546. Nello stesso periodo, il medico francese Jean Fernel le attribuì il nome di lue.
Il batterio responsabile della sifilide, il Treponema pallidum, fu identificato per la prima volta da Fritz Schaudinn ed Erich Hoffmann nel 1905. Il primo trattamento efficace (grazie al farmaco Salvarsan) è stato sviluppato nel 1910 da Paul Ehrlich, e ad esso seguirono esperimenti con la penicillina e con la conferma della sua efficacia, avvenuta nel 1943. Prima dell'avvento di un trattamento efficace, erano usati comunemente il mercurio e l'isolamento, con risultati spesso peggiori della malattia stessa. Si ritiene che molti personaggi famosi abbiano contratto la malattia: tra di essi, Franz Schubert, Arthur Schopenhauer, Robert Schumann, Oscar Wilde, Guy de Maupassant, Charles Baudelaire, Édouard Manet e Adolf Hitler, mentre è molto incerto il caso di Friedrich Nietzsche.
La sifilide era molto comune in Europa nel corso del XVIII e XIX secolo. Nel mondo sviluppato, nel corso del XX secolo, le infezioni diminuirono rapidamente, grazie alla diffusione degli antibiotici. Dal 2000, i casi di sifilide sono aumentati negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia ed in Europa, soprattutto tra le persone omosessuali. La più alta incidenza di casi tra etereosessuali si ha, a partire dal 1990, in Cina e in Russia. Questo fatto è stato attribuito a pratiche sessuali non sicure, come la promiscuità sessuale, la prostituzione e lo scarso utilizzo del profilattico. Un rapporto, pubblicato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, ha dimostrato nel 2013 un aumento della prevalenza della malattia in Europa, del 9% rispetto all'anno precedente, in particolar modo nella fascia di età compresa tra 15 e 24 anni.
La sifilide è una complessa infezione sessualmente trasmissibile causata dal batterio Treponema pallidum.
La sifilide è un’infezione genitale che causa ulcere ed escoriazioni e facilita la trasmissione dell’Hiv. Si sviluppa in diversi stadi, ciascuno caratterizzato da sintomi e decorso diverso. Dal momento che alcune fasi della malattia hanno un lungo decorso senza manifestazioni cliniche evidenti, è possibile un’evoluzione progressiva in assenza di diagnosi e terapia. Se non è trattata adeguatamente, la sifilide può causare danni al sistema nervoso e ai vasi arteriosi, disordine mentale e morte. Grazie a un semplice test diagnostico e all’elevata efficacia dell’antibioticoterapia, è oggi un’infezione potenzialmente controllabile dai sistemi di sanità pubblica.
Tra l’infezione e l’insorgenza dei primi sintomi possono passare da 10 a 90 giorni (mediamente 20 giorni). Questo primo stadio è caratterizzato dalla comparsa di una singola ferita (sifiloma o chancre), o da più pustole. Normalmente la ferita è consistente, tonda, piccola e indolore e compare nel punto in cui avviene l’infezione batterica. Questa ferita dura 3-6 settimane e guarisce da sola. Se l’infezione non è trattata in questa fase, evolve verso lo stadio secondario.
La sifilide secondaria inizia con l’insorgenza in più punti di un’eruzione cutanea (roseola o papulomatosi sifilitica) che non è accompagnata da prurito e può manifestarsi quando la ferita è scomparsa o anche settimane dopo. L’eruzione è solitamente rossastra o bruna, con macchie sui palmi delle mani e dei piedi o in altre parti del corpo. A volte le macchie sono diverse e ricordano eruzioni tipiche di altre malattie. Anche senza alcun trattamento, l’eruzione sparisce da sola. Sono inoltre tipici di questo stadio febbre, ingrossamento dei linfonodi, mal di gola, alopecia a chiazze, cefalea, calo ponderale, mialgie, stanchezza.
Alla scomparsa dei sintomi del secondo stadio, la persona è ancora malata anche se non mostra più i sintomi evidenti. In questa fase, possono iniziare i danni agli organi interni (cervello, nervi, occhi, cuore e vasi sanguigni, fegato, ossa e articolazioni) che si possono manifestare anche a distanza di decenni. I danni neurologici possono essere presenti già nel secondo stadio (sifilide neurale). Una volta che la sifilide entra nel terzo stadio, l’individuo perde la capacità di controllare i movimenti muscolari, può avere delle paralisi, confusione mentale, cecità graduale e sviluppo di demenza. Il danno può essere tanto serio da portare alla morte.
Secondo lo stato d’infezione della madre, l’infezione può essere trasmessa al feto causando morte in utero (40 per cento dei casi) o la nascita di un bimbo già infetto, con sifilide congenita (70 per cento dei casi). Se la madre ha avuto l’infezione nei quattro anni precedenti la gravidanza, il rischio di trasmissione al feto è molto elevato. I sintomi possono essere assenti al momento della nascita e comparire successivamente, causando, se non trattati adeguatamente, serie complicazioni allo sviluppo del bambino.
La sifilide si trasmette di persona in persona direttamente attraverso le ferite e le ulcere che si formano nelle zone genitali, rettali e sulla bocca a seguito di contatto sessuale. Può facilmente essere trasmessa fin dal primo stadio, spesso da individui ignari della propria malattia. Al contrario, non si trasmette in modo indiretto attraverso il contatto con oggetti, stoviglie o indumenti utilizzati da un soggetto infettato.
Secondo i Cdc americani, il rischio di trasmissione del virus Hiv è da 2 a 5 volte più elevato quando è presente anche una infezione da sifilide.
Le infezioni sessualmente trasmissibili, e quindi anche la sifilide, possono essere trasmesse solo da un partner infetto a uno non infetto durante l’atto sessuale. Una buona misura di prevenzione è quindi l’uso di preservativi di lattice. Tuttavia, le ferite e le ulcere cutanee possono trasmettere l’infezione anche durante il sesso orale o qualunque altro contatto cutaneo con le zone infette. È dunque necessario fare attenzione a qualunque sintomo visibile. La scomparsa dei sintomi non è però indice dell’assenza di malattia, che anzi può essere in una fase progressiva verso lo stadio latente. Solo un’efficace azione di educazione a comportamenti sessuali responsabili e il ricorso ai servizi di salute per una diagnosi e trattamento precoci possono prevenire la trasmissione dell’infezione stessa.
Per identificare i partner a rischio, i Cdc raccomandano di considerare i tre mesi precedenti la comparsa dei sintomi della sifilide primaria e/o i sei mesi precedenti la comparsa dei sintomi di quella secondaria e almeno un anno per la sifilide latente. Tutti i pazienti cui è stata diagnosticata la sifilide devono sottoporsi al test per il virus Hiv.
La diagnosi di sifilide può essere effettuata utilizzando l’analisi al microscopio di materiali prelevati da una escoriazione o da una ferita del paziente. Il Treponema ha una morfologia ben distinta e riconoscibile, specie utilizzando il microscopio ottico in campo oscuro.
La presenza del batterio nel sangue può essere evidenziata anche con un semplice test sierologico. La diagnosi si basa sul fatto che gli anticorpi possono essere presenti già nelle fasi precoci dell’infezione e un basso livello anticorpale permane nel sangue per mesi e anni anche dopo il trattamento completo della malattia. Il livello di anticorpi, infatti, tende poi a diminuire fino a scomparire, rendendo il soggetto nuovamente sensibile e suscettibile all’infezione.
Normalmente, vengono effettuati due tipi di test: quelli non specifici per il Treponema, come il Venereal Disease Research Laboratory (VDRL) e il Rapid Plasma Reagin (RPR) e quelli Treponema-specifici, come il Fluorescent Treponemal Antibody Absorbed (FTA-ABS) e T. pallidum Particle Agglutination (TP-PA).
I test non specifici per il Treponema sono diretti contro un antigene lipoideo che deriva dal batterio o dalla sua interazione con l’ospite; sono di ampio impiego in quanto poco costosi e di facile esecuzione, ma possono dare esito falsamente positivo che richiede l’effettuazione di un test Treponema-specifico per la conferma. Una falsa positività ai test non specifici si osserva talvolta in caso di malattie infettive (malaria, tubercolosi, febbri virali, tripanosomiasi, lebbra) e in altre condizioni (collagenopatie, gravidanza, età avanzata, tossicodipendenza). I test specifici sono più impegnativi in termini di attrezzature e di competenza degli operatori. La loro positività persiste per tutta la vita. Recentemente sono diventati disponibili test specifici di nuova generazione di tipo ELISA destinati all’impiego su vasta scala.
L’Organizzazione mondiale della sanità ha avviato, in collaborazione con la Banca mondiale e l’Undp, il programma speciale, la “Sexually Transmitted Diseases Diagnostics Initiative (SDI)”con lo scopo di valutare i test disponibili e mettere a punto linee guida per una diagnostica rapida ed efficace da effettuarsi anche nei Paesi poveri che hanno limitate risorse sanitarie. L’iniziativa ha prodotto la pubblicazione di manuali operativi periodicamente aggiornati sull’impiego dei test rapidi di laboratorio da effettuarsi nei diversi casi.
Dati gli effetti della sifilide contratta prima o durante la gravidanza, lo screening per la presenza di anticorpi anti-Treponema dovrebbe essere effettuato assieme agli altri test sierologici nelle prime settimane di gestazione. Secondo i Cdc, un neonato va dimesso solo allorché sia stata determinata la sierologia materna almeno una volta durante la gravidanza e, preferibilmente, al momento del parto.
Il trattamento dell’infezione è facilmente ottenibile con l’uso dell’antibiotico penicillina. La preparazione, il dosaggio e la lunghezza del trattamento dipendono dallo stadio della malattia e dalle sue manifestazioni cliniche. L’efficacia di questa terapia sul controllo dell’infezione e del contagio (ma ovviamente non su eventuali danni d’organi già determinatisi) è stata confermata da molteplici casi studio, da trial clinici e da cinquant’anni di esperienza clinica. Oltre al trattamento antibiotico, la persona infetta deve astenersi da qualunque attività sessuale con nuovi partner fino alla completa guarigione delle ferite. Inoltre, è necessario effettuare test diagnostici e trattamento anche sui partner sessuali del paziente.
Una pregressa infezione non conferisce l’immunità permanente a un soggetto guarito che è esposto a un possibile nuovo contagio.
La Società di malattie infettive e tropicali lancia l'allarme. C'è una correlazione negativa tra infezione sifilitica ed infezione da Hiv, con un impatto peggiorativo della sifilide sulla infezione da Hiv ed una maggiore suscettibilità dei pazienti Hiv-positivi alle forme più gravi e neurologiche della sifilide (neurosifilide). "La terapia post-esposizione dovrebbe essere acquistabile e offerta in maniera parallela all'uso del preservativo per scopo preventivo".
Grazie alla ricerca degli specialisti, negli ultimi anni le terapie che tengono a bada l'Hiv sono migliorate, con una soppressione virale costante ed efficace. Tuttavia - osserva la Società italiana di malattie infettive e tropicali in una nota - la ricerca di base non è più attiva come negli anni precedenti, probabilmente per dedicare attenzione ad altre tematiche, soprattutto per le terapie per la cura dell’epatite C. C'è ancora il grande problema della prevenzione: si parla sempre meno sia di HIV che di tutte le altre infezioni sessualmente trasmissibili. Bisogna promuovere l’informazione e esortare all’uso del preservativo come strumento più efficace di prevenzione, onde evitare un costante aumento di infezioni, già attestato tra i 3500 e i 4000 casi l’anno.
"E' opportuno evocare - aggiunge Tullio Prestileo, Dirigente Medico Uoci Malattie Infettive Ospedale Civico-Benfratelli, Palermo - l'argomento della Prep, la terapia post-esposizione, aspetto necessario da sviluppare, sebbene non rimborsabile dal Sistema sanitario nazionale, che limita già l’accesso ai farmaci ai pazienti affetti da epatite C. Il tema è quanto più urgente se si pensa che nei nostri ambulatori, le infezioni da sifilide stanno crescendo in maniera preoccupante: sarebbe dunque molto utile se almeno a titolo personale fosse possibile l’acquisto della terapia della Prep, diffondendo e offrendo parallelamente l’uso del preservativo a scopo preventivo".
"L'enorme incremento dei flussi migratori degli ultimi mesi ha determinato un aumento della richiesta in campo assistenziale da parte di alcune persone che presentavano problematiche di tipo infettivologico. E' andato crescendo il numero dei casi di tubercolosi, che ha determinato a sua volta un forte aumento delle richieste di ricovero. Possiamo affermare con certezza che non ci sono assolutamente rischi per la salute degli italiani derivanti dai fenomeni migratori. Si pensi che almeno il 20% della diffusione del virus dell’Hiv tra i migranti riguarda il contagio che avviene dopo l’arrivo in Italia: questo è il risultato di uno studio presentato pochi giorni fa a Barcellona al Congresso europeo sull’Aids", spiega la Simit.
"Esistono - spiega Francesco Castelli, Clinica di Malattie Infettive e Tropicali della Università di Brescia - evidenze di una sinergia negativa tra infezione sifilitica ed infezione da HIV, con un impatto peggiorativo della sifilide sulla infezione da HIV ed una maggiore suscettibilità dei pazienti HIV-positivi alle forme più gravi e neurologiche della sifilide (neurosifilide). Appare dunque essenziale una diagnosi precoce della infezione sifilitica nei pazienti HIV+ per poter instaurare un trattamento immediata con benefici clinici individuali, ma anche limitando il periodo di infezione e dunque anche la contagiosità del paziente con benefici di salute pubblica. Per fare ciò è essenziale la consapevolezza della classe medica al fine di porre in essere gli adeguati screening periodici nei pazienti affetti da infezione da HIV o comunque che riferiscano comportamenti sessuali a rischio".
Il Centro di Controllo delle Malattie e della Prevenzione raccomanda a tutti gli uomini sessualmente attivi che hanno rapporti sessuali con altri uomini di effettuare il test almeno una volta all'anno.
La sifilide è una malattia soggetta a denuncia in molti paesi, tra cui il Canada, l'Unione europea e gli Stati Uniti. Ciò vuol dire che gli operatori sanitari sono tenuti a informare le autorità di sanità pubblica nel caso si venga a conoscenza di un infetto.
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