martedì 22 dicembre 2015

STORIA DELLA PSICOLOGIA





Il desiderio di capire chi siamo non è nuovo. Pensatori greci come Platone (428 a.C.-347 a.C.) e Aristotele (384 a.C.-322 a.C.) furono tra i primi a confrontarsi con gli interrogativi fondamentali su come la mente funzioni. I filosofi greci esaminarono molte delle questioni di cui gli psicologi continuano a occuparsi oggi. Per esempio, le capacità cognitive e le cognizioni sono innate o si acquisiscono solo mediante l'esperienze? Platone sosteneva l'innatismo, secondo cui certi tipi di conoscenza sono innati o connaturati. Aristotele, invece, riteneva che la mente del bambino fosse come una tabula rasa (una lavagna vuota) su cui venivano scritte le esperienza, ed era un sostenitore dell'empirismo filosofico, secondo cui tutta la conoscenza si acquisisce mediante l'esperienza.
Parlare della psicologia significa sottolineare la presenza e l'azione di diverse teorie, procedure e pratiche, anche molto differenti tra loro. Sebbene questo sia un elemento valido per ogni disciplina scientifica, per la psicologia diventa un elemento di particolare e specifica rilevanza.

Nella scienza psicologica, la discussione diventa particolarmente accesa sui metodi da privilegiare in funzione delle opzioni teoriche fatte proprie da un ricercatore o da uno psicologo applicato.

Questa caratteristica del campo di indagine in questione rende complicato anche il percorso che tenta di delinearne la storia, mettendo in luce i punti cruciali che hanno determinato l'emergere della psicologia da discussioni di altra natura e con altri obiettivi, diversamente "condivise" e "simbolizzate".

In virtù di questa precisazione è possibile affermare intanto che non esiste una psicologia ma esistono tante psicologie con differenti metodologie, modalità di indagine della realtà psicologica e sociale, e differenti modalità di intervento che ancora non hanno trovato una "condivisa" e più precisa sistematizzazione.

È importante sottolineare, inoltre, la relazione che c'è sta la storia interna ed esterna di una specifica disciplina:

- la storia esterna che valuta il modo di rappresentarsi una disciplina stessa, le concezioni, i pregiudizi, le credenze che vincolano, ostacolano o facilitano l'emergere e l'evoluzione di uno specifico sapere, in questo caso le idee che si possono racchiudere in quella che è definibile "psicologia ingenua o del senso comune".

- la storia interna invece riguarda la precisazione dei concetti interni alla scienza stessa; nel caso della matematica: il perfezionarsi del concetto di numero; per la fisica: il passaggio dalla fisica classica a quella relativistica; per la psicologia: lo strutturarsi della nozione di inconscio. Questi elementi delineano la storia interna che ha sempre un profondo legame con quella esterna.

Per la psicologia questo legame è particolarmente forte in quanto non vi è altra scienza per la quale è stato profondo e determinante per il suo sviluppo, l'influenza della storia esterna su quella interna. Una scienza infatti dipende tanto più dall'esterno quanto più la sua storia interna è stata condizionata dal contesto storico e sociale.

La psicologia ha subito un grosso influsso dal contesto storico-sociale: quasi tutto lo sviluppo della psicologia scientifica è stato caratterizzato da obiettivi e finalità che sono state poste dall'esterno. Essendo vari i contesti culturali e sociali in cui tale disciplina è cresciuta, varie sono anche le teorie e le pratiche derivate.



Il termine "psicologia" deriva dal greco psyché = spirito, anima e da logos = discorso, studio. Letteralmente la psicologia è quindi lo studio dello spirito o dell'anima. Il significato del termine rimase immutato dal XVI secolo fino al XVII secolo, quando assunse il significato di "scienza della mente". Negli ultimi cento anni, il significato di tale termine è cambiato ulteriormente e in modo significativo, adeguandosi alle nuove prospettive e alla moderna metodologia.

È interessante segnalare che iconograficamente psyché può essere interpretato come farfalla: molte decorazioni di antichi vasi greci raffigurano con l’immagine di una farfalla lo spirito (anima) che esala nell’istante della morte.

Il termine "psicologia", nella forma latina psichologia fu probabilmente introdotto nel 1520 dall'umanista Filippo Melantone, nei cui scritti comunque non compare. Il termine appare invece (nella forma greca psychologia) nelle opere dei suoi discepoli Rodolfo Goclenio (Psychologia, hoc est de hominis perfectione, 1597) e Otto CassMann (Psychologia anthropologica sive animae humanae doctrina, 1594). Recenti ricerche hanno tuttavia individuato un uso più antico del termine nell'umanista dalmata Marcus Marulus (Psychologia de ratione animae humanae, 1511-1518), sebbene non sia chiaro il significato con cui veniva utilizzata tale parola.

Il termine "psicologia" divenne popolare nel Settecento, grazie al tedesco Christian Wolff che lo utilizzò per intitolare due sue opere: Psychologia empirica (1732) e Psychologia rationalis (1734).
Wolff, con le opere succitate, inaugurò la distinzione fra psicologia empirica (fatti psichici fondati sull'esperienza) e psicologia filosofica o razionale (essenza dell'anima e delle sue facoltà):

- la prima cercava di individuare dei principi che potessero spiegare il comportamento dell'anima umana.

- la seconda indagava sulle facoltà dell'anima stessa. Successivamente, Kant criticò la distinzione di Wolff, negando la possibilità che potesse esistere una psicologia razionale. Kant, comunque, accettò la validità della psicologia empirica, anche se non la considerava scienza esatta, per il fatto che era impossibile applicare la matematica ai fenomeni psichici, mancando ad essi la forma a priori dello spazio. Grazie a Kant si posero le prime basi di una psicologia non più puramente filosofica, ma costruita con criteri empirici.

Nella seconda metà dell'800: il termine "psicologia" è usato per designare una disciplina scientifica autonoma dalla filosofia e svincolata da ipoteche metafisiche, con un'accezione più o meno analoga a quella odierna. L'uso del termine "psicologia" era comunque molto raro, preferendo piuttosto parlare di "scienza del morale", di "scienza dell'uomo" o di "antropologia", alludendo ad uno studio che comprendesse unitariamente gli aspetti fisiologici, psicologici e spesso anche sociali.

Quando nella seconda metà dell'Ottocento (esattamente nel 1879) Wundt fondò il suo laboratorio di Lipsia, si compiva il passo ufficiale attraverso cui la nuova disciplina psicologica si costituiva formalmente e otteneva i requisiti per essere riconosciuta come tale dall'intera comunità scientifica.

Il processo è stato lungo, ed era iniziato oltre due millenni prima inglobando, differenziando, imitando e acquisendo i contributi di differenti discipline con uno statuto interno maggiormente strutturato come la filosofia, come la fisiologia, la biologia e l'astronomia.

Nel pensiero greco esistevano già le premesse perché potesse nascere uno studio scientifico dei processi psichici, premesse date da una considerazione dei rapporti esistenti tra aspetti biologici, psichici e sociali nella determinazione del comportamento, e dal riconoscimento della piena appartenenza dell'uomo, come animale, al mondo della natura.
È il pensiero medioevale cristiano che nega entrambi questi aspetti del problema. Perché possa nascere, quindi, una scienza dell'uomo prima, e poi una psicologia scientifica, occorrerà un lungo processo che ripristini le condizioni concettuali già presenti in certa misura nel pensiero greco.

Ciò avverrà con un certo ritardo anche rispetto alla rivoluzione scientifica del'600 , che se fornirà agli scienziati della natura gli strumenti concettuali per affrontare l'analisi dei loro oggetti di studio in termini moderni, troverà ancora una concezione dell'uomo non sufficientemente avanzata per consentire di utilizzare tali strumenti sull'uomo stesso, infatti l'uomo è ancora considerato un essere divino insondabile.

L'uomo, considerato un essere diverso dalla natura "materiale" su cui la speculazione scientifica già era stata introdotta, considerato precisamente un essere divino, era (e restava ancora, rispetto alla natura, all'universo e al mondo fisico in generale nel '600) insondabile.

Una tappa fondamentale fu offerta da Cartesio, che distingueva tra res cogitans e res extensa.

Questa separazione mente-corpo (che interagivano a livello della ghiandola pineale) offrì la possibilità di demistificare il corpo e studiarlo in una prospettiva meccanicistica (corpo-macchina) e questa scissione introdurrà:

- al materialismo volgare di La Mettrie

- al reinserimento, con Buffon, dell'uomo nella scala zoologica.

La scissione cartesiana ha influenzato profondamente il modo di intendere l'uomo e ancora oggi influenza la relazione che intercorre tra medicina e psicologia. La scissione, utile per iniziare l'investigazione scientifica del corpo, ha però (in occidente) influenzato il modo di intendere la salute e la malattia e ha portato avanti il baluardo di una separazione tra mente e corpo che ha solo valore ideologico e metodologico, ma che in realtà non esiste (basti pensare ai numerosissimi studi sulla psicosomatica o a tutte quelle sindromi i cui effetti si riscontrano sul corpo ma nelle cui cause sono da inserire complessi fattori psicologici, dunque ritracciabili nella mente)

Il problema dell'investigazione dell'anima, si risolve prima con Locke in Inghilterra e successivamente con Condillac in Francia, che consentono di superare ogni ostacolo metafisico spostando lo studio sui processi e funzioni dell'anima, senza preoccuparsi della sua essenza e dunque trascendere nel campo di investigazione filosofico e teologico.

Gli ideologi fanno la sintesi di tutti questi apporti, mostrando come sia possibile uno studio scientifico dell'uomo sul piano sia biologico che mentale.

Il mutato clima politico all'inizio del XIX secolo non consente, però, che il programma degli ideologi possa essere portato a compimento.




Con Herbart e poi Fechner si mostra la possibilità di uno studio matematico e una misurazione dei processi mentali. In questo clima di fermento e di "attesa", altre scienze accumulano contributi fondamentali che verranno, gradualmente, a costituire i fondamenti della psicologia scientifica:

si introducono infatti elementi e concetti come:
- i tempi di reazione, che, a partire dagli studi sulle equazioni personali degli astronomi, con il metodo sottrattivo di Donders forniscono il primo corrispettivo fisico di un processo puramente mentale.
- i riflessi
- la legge di Beli e Magendie che mostra la fondamentale dicotomia nel sistema nervoso tra componenti sensitive e motorie,
- il principio dell'energia nervosa specifica, che fornisce una fondazione scientifica allo studio psicologico della percezione.
- l'evoluzionismo, che introduce il concetto di adattamento e consente di allargare lo studio della nuova scienza che si sta costituendo.

Negli anni Trenta la psicologia nord americana, leader indiscussa della psicologia internazionale, si presentava suddivisa in correnti o scuole antagonistiche: soprattutto il funzionalismo, il comportamentismo e il gestaltismo. Negli anni successivi queste scuole hanno sempre più attenuato la loro contrapposizione o addirittura si sono sciolte, come già era accaduto ai primi del Novecento nel caso dell'introspezionismo, la prima scuola della storia della psicologia. Le ragioni di questo particolare sviluppo sono soprattutto le seguenti. In primo luogo, le speranze riposte nel metodo sperimentale andarono scemando a mano a mano che gli psicologi prendevano coscienza della complessità delle variabili da manipolare, anche negli esperimenti più semplici come quelli relativi alla percezione. In secondo luogo, il crescente successo delle teorie psicoanalitiche, costituite in una prospettiva radicalmente diversa da quella della tradizionale psicologia accademica, in certo modo espropriò gli psicologi di alcuni dei temi più rilevanti della loro ricerca. In terzo luogo, la psicologia dovette confrontarsi con discipline giovani e in pieno rigoglio, quali la sociologia, l'antropologia culturale, la neurofisiologia, la cibernetica, e da questo confronto uscì sostanzialmente indebolita. Negli anni recenti, essa ha scelto la strada della specializzazione: rinunciando alle grandi teorie del passato, si va sempre più occupando di microproblemi all'interno dei diversi settori della ricerca sperimentale, e non disdegna l'apporto di concettualizzazioni e tecniche extrapsicologiche, come la teoria dell'informazione, l'etologia o le tecniche microelettroniche di esplorazione cerebrale.

Sul piano epistemologico, tuttavia, la psicologia contemporanea continua a presentare numerose fratture e contraddizioni. Epistemologi o filosofi della scienza tentano di definire da un lato le caratteristiche che accomunano la psicologia alle altre scienze naturali e umane, e dall'altro le caratteristiche che configurano il tipo specifico, attuale o ideale, della scientificità psicologica. Tra i principali punti di disaccordo sul piano epistemologico e metodologico, è possibile individuare per lo meno le seguenti contrapposizioni. In primo luogo vi sono quegli psicologi (e sono la maggioranza, specialmente nei paesi anglosassoni) che aderiscono alla linea scientifica tradizionale, quella naturalistica, che studia i processi psichici estraendoli dal loro contesto storico: prima ancora che in Wundt, è in J.F. Herbart e nel suo psicologismo antistoricistico che questa prospettiva trova le proprie radici prossime; d'altro lato, un numero inferiore di studiosi, soprattutto europei (da G. Politzer e H. Wallon fino ai giorni nostri, a K. Holtzkamp), hanno tentato d'inserire l'indagine psicologica nella prospettiva del materialismo storico-dialettico, ribaltando il naturalismo classico e assegnando come oggetto a tale indagine non già l'individuo astratto, bensì la condizione storica specifica che caratterizza e dà senso alla condotta dell'individuo; una soluzione di compromesso fra queste due prospettive contrapposte è stata formulata dalla cosiddetta “etologia umana”, che tenta d'integrare la tesi darwiniana relativa alla storicità della natura con la tesi materialistica relativa alla storicità della cultura. In secondo luogo si può individuare una contrapposizione tra gli psicologi di orientamento “mecanomorfico” e quelli di orientamento “antropomorfico”: i primi tendono a considerare l'evento psichico come assimilabile a un qualunque altro evento naturale; i secondi tentano invece di fornire modelli interpretativi quanto più possibile prossimi alla complessità dell'individuo concreto nella realtà quotidiana. Alla prospettiva mecanomorfica aderiscono le correnti classiche della psicologia accademica e soprattutto il comportamentismo, mentre alla prospettiva antropomorfica aderiscono correnti psicologiche più recenti, come la “psicologia della personalità” di W. Stern e G. Allport, le psicofenomenologie e le psicologie esistenziali di R. May e L. Lecky, la teoria della personalità di C.R. Rogers e soprattutto la “psicologia umanistica” di A.H. Maslow. In terzo luogo, esiste una contrapposizione fra gli psicologi di orientamento riduzionistico e quelli di orientamento antiriduzionistico. In quarto luogo esistono psicologi (come i gestaltisti) che fanno ricorso al metodo fenomenologico, nel senso che recepiscono i dati psichici (percettivi, affettivi ecc.) nella loro immediatezza, cosi come appaiono di primo acchito al soggetto percipiente; mentre altri psicologi, di orientamento opposto, sottopongono i dati dell'esperienza immediata a una sorta di “filtro” o di esame logico preliminare. In quinto luogo, le psicologie di orientamento soggettivistico, prevalentemente cliniche, si contrappongono a quelle di orientamento oggettivistico (il comportamentismo, anzitutto). In sesto luogo, va registrata la notevole tensione fra gli psicologi di orientamento quantificazionistico - che prediligono la sperimentazione di laboratorio e la ricerca sul campo con metodologie statistiche, nella convinzione che i dati psicologici possano e debbano essere tradotti in costrutti misurabili ed esprimibili sotto la forma di funzioni matematiche - e quelli di orientamento antiquantificazionistico, secondo i quali i dati psichici non sono suscettibili di misurazione come i dati fisici perché non costituiscono “continuità” omogenee. In settimo luogo, esiste un disaccordo di fondo fra autori di orientamento teoreticistico e quelli d’orientamento antiteoreticistico: secondo i primi, tra i quali vi sono molti neocomportamentisti (a partire da C. Hull, negli anni Trenta) e i cognitivisti, la psicologia sperimentale ha bisogno, per progredire, di “teorie” e di “modelli” che presentino un alto livello di coerenza interna e di formalizzazione matematica (in questo senso esiste da molti anni quella che viene chiamata “psicologia matematica”) e servano a costituire schemi esplicativi, interpretativi e soprattutto predittivi dì eventi psichici quali i processi dell'apprendimento o i processi mnestici; al contrario, secondo gli psicologi antiteoreticisti, il cui più autorevole rappresentante é B.F. Skinner, la psicologia deve rifuggire dalle costruzioni teoriche, che rischiano di condurla su un piano di astrattezza e di inverificabilità, e deve attenersi rigorosamente alle regole dell'esperimento codificato dalla tradizione baconiana e galileiana. Infine, un problema la cui soluzione divide gli psicologi contemporanei di orientamento sperimentalistico è quello relativo alle conseguenze e implicazioni etiche e deontologiche degli esperimenti condotti sull’uomo; infatti in molti casi occorre che il soggetto sia coscientemente ingannato dall'operatore sulle vere finalità dell'esperimento, il quale può richiedere che si induca nel soggetto uno stato psicologico spiacevole, come ansia, paura ecc. Per ovviare a questi problemi si è fatto ricorso alla psicologia animale e comparata, settore in cui fin dal secolo scorso i metodi sperimentali hanno avuto la massima diffusione e applicazione, come nel caso dei celebri esperimenti sul condizionamento condotti da I.P. Pavlov.



Come negli altri paesi europei, in Italia la psicologia cominciò a diffondersi intorno al 1870, prevalentemente sotto forma di psicologia sperimentale. Il suo principale portavoce fu il filosofo R. Ardigò, coadiuvato da altri positivisti come G. Sergi e G. Buccola. Successivamente, fino alla prima guerra mondiale, la nostra psicologia perse gradualmente l'iniziale impronta positivistica e si aprì all'influenza del pragmatismo inglese e nord americano; autore molto letto all'epoca fu lo statunitense W. James, la cui opera venne tradotta e commentata dallo psichiatra e psicologo G.C. Ferrarotti, fondatore nel 1905 della “Rivista di psicologia”, che divenne l'organo principale e per molto tempo esclusivo degli istituti di psicologia delle università italiane. Con l’avvento del fascismo le sorti della psicologia italiana declinarono, in particolare sul piano della ricerca pura, esplicitamente contestata dal neohegelismo e più specificamente dall'attualismo gentiliano. Nel 1923 la riforma Gentile della scuola decretò l'abolizione dell'insegnamento della psicologia nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, e la sua sostituzione con la filosofia e la pedagogia di orientamento idealistico. Negli anni successivi, anche a causa dell'autarchia culturale imposta dal fascismo, la psicologia italiana perse sempre più terreno sul piano scientifico e istituzionale rispetto alla psicologia internazionale, e scelse la via meno impegnativa della psicologia applicata. Nei settori applicativi, pur affrontati senza adeguate basi scientifiche, si segnalarono tuttavia studiosi come A. Gemelli, F. Banissoni, G. Vidoni. Ma la produzione psicologica propriamente scientifica era ormai riservata a pochissimi ricercatori, tra i quali spicca C. Musatti, erede della più importante scuola psicologica italiana degli anni precedenti, quella patavina di V. Benussi. Dopo il 1945 la psicologia italiana si è aperta in modo via via più accentuato alle influenze nordamericane, tanto sul piano sperimentale quanto su quello clinico e applicativo.

La social cognition si sviluppa come ramo interno della psicologia cognitiva declinato in sede sociale, studia i processi cognitivi che sottostanno al comportamento identificando nel contesto sociale una determinante molto importante per la condotta. Gli studi della Social Cognition sono concentrati da un lato sulle strutture di conoscenza (schemi, categorizzazioni, stereotipi, euristiche, etc.), e dall'altro sulla scoperta delle "distorsioni" di ragionamento (Bias) che tali strutture comportano. Importanti sviluppi sono stati inoltre conseguiti sul tema della ricerca sui processi di gruppo (small groups) e della comunicazione sociale.
Un altro filone significativo di questo nucleo teorico approfondisce la bivalenza dei processi cognitivi individuali e della realtà sociale in cui tali processi sono causa ed effetto. L'autore più importante di questo filone di ricerca rappresenta senza dubbio Albert Bandura e la sua teoria dell'apprendimento sociale, da cui prese forma un intero nucleo teorico denominato teoria sociale cognitiva della personalità.

La Social Cognition rappresenta l'evoluzione ed integrazione degli studi cognitivi con quelli di psicologia sociale sperimentale di ambito anglosassone; in parallelo a questa tradizione, ma su diversi presupposti epistemologici e metodologici, si è sviluppato in Europa (in Francia in particolare) il paradigma di ricerca delle Rappresentazioni sociali, a partire dal lavoro di Serge Moscovici e Denise Jodelet.

Fino agli anni sessanta il termine psicologia fisiologica indicava lo studio delle basi fisiologiche, e quindi cerebrali, del comportamento effettivo, indipendentemente dai fenomeni studiati e dalle metodologie d'indagine. Verso la metà degli anni sessanta fu stabilita una prima differenziazione, tra le diverse discipline quali la psicofisiologia e la psicologia fisiologica:
la prima indica lo studio, condotto soprattutto su soggetti umani sani, delle variazioni fisiologiche, come elettroencefalogramma o elettrocardiogramma, correlate a processi psichici, come per es. la percezione o l'attenzione;
la seconda indica l'impostazione di ricerca, condotta soprattutto su soggetti animali, che studia l'effetto della manipolazione delle variabili fisiologiche (es. lesione o stimolazione elettrica di aree cerebrali, somministrazione di farmaci) sulle variabili comportamentali, in pratica come le ricerche di Lashley.
Il termine neuropsicologia ha acquistato un significato specifico a partire dagli anni sessanta. In particolare, per neuropsicologia clinica si intende lo studio dei danni cognitivi in soggetti umani con lesioni encefaliche. La neuropsicologia aveva quindi una lunga tradizione, dalle prime descrizioni avvenute nell'Ottocento, cioè i casi di afasia descritti da Broca e Wernicke, alle ricerche successive alla prima guerra mondiale. Uno sviluppo massiccio della neuropsicologia si ebbe dopo la seconda guerra mondiale, tramite lo studio degli effetti cognitivi delle lesioni cerebrali sui soldati feriti in guerra. Il punto di svolta più importante delle ricerche di neuropsicologia degli anni sessanta è rappresentata dalla metodologia: la prestazione dei soggetti con danno cerebrale era confrontata con quella di soggetti sani, senza danno neurologico, utilizzando quindi un paradigma sperimentale diverso ed ampliando dunque i dati derivati dall'analisi isolata di casi singoli.






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