La pressione sanguigna è una misura della forza esercitata dal sangue contro le pareti delle arterie. La pressione del sangue di una persona è considerata alta indicativamente quando i valori sono superiori a 140 mm Hg per la “massima” (pressione sistolica, il numero in alto nella lettura della pressione del sangue) e/o 90 mm Hg di “minima” (pressione diastolica, il numero in basso). In generale, la pressione alta, o ipertensione, contribuisce allo sviluppo della malattia coronarica, ictus, insufficienza cardiaca ed insufficienza renale.
Anche se molte donne con pressione sanguigna alta in gravidanza hanno bambini sani senza gravi problemi, la pressione alta può essere pericolosa sia per la madre sia per il feto. Le donne con ipertensione preesistente o cronica hanno più probabilità di avere delle complicazioni durante la gravidanza rispetto a quelle con pressione sanguigna normale. Tuttavia alcune donne manifestano pressione alta solo mentre sono in stato di gravidanza (spesso chiamata ipertensione gestazionale).
L'eziopatogenesi di questa sindrome non è ancora nota, tuttavia sin dal 1972 Page formulò alcune ipotesi, basate su osservazioni sperimentali, che hanno permesso di comprendere meglio l'evoluzione della malattia. Tali osservazioni furono poi ampliate da Zeeman, Dekker et al. negli anni '90, ottenendo un quadro più completo della fisiopatologia di questa sindrome. Secondo questi autori, alcuni fattori come ipertensione essenziale preesistente, patologie renali preesistenti, eccessivo incremento ponderale durante la gravidanza, diabete e fattori immunologici innescherebbero un circolo vizioso che porterebbe alla evoluzione del quadro tipico della preeclampsia.
Ricerche più recenti hanno dimostrato che un elemento fondamentale nel determinismo della preeclampsia è rappresentato da alterazioni a carico della placenta.
La presenza del feto non è necessaria, è sufficiente la presenza del trofoblasto in condizioni di vitalità, come dimostra l'osservazione di casi di preeclampsia in donne portatrici di mola vescicolare non tempestivamente riconosciuta. Nelle donne sane si hanno modificazioni del numero e del calibro delle arterie spirali che portano il flusso ematico uterino da 50 ml/min intorno alla 9ª-10ª settimana di gestazione, a 500 ml/min a termine di gravidanza. Nelle pazienti preeclamptiche il flusso placentare risulta sensibilmente ridotto. Il motivo di questa ipoperfusione sembrerebbe risiedere nell'inadeguata invasione delle arterie spirali della decidua e del miometrio da parte del citotrofoblasto durante la fase di placentazione. Questo fenomeno provocherebbe, inoltre, una diminuita reattività alle catecolamine endogene causando una marcata riduzione del calibro delle arterie utero-placentari. Tutto ciò impedisce la formazione di un distretto circolatorio a bassa resistenza e ad alta capacità che irrora lo strato intervilloso.
Anche se l'ischemia placentare sembra avere un ruolo preponderante, numerosi altri fattori concorrono nella patogenesi della malattia. Dai dati provenienti dal Reproductive genetics Program dell'Università dello Utah si evince una predisposizione familiare a sviluppare la preeclampsia. Il gene AGT235 sembra essere responsabile dell'invio di un segnale anomalo alla placenta durante la formazione del letto vascolare. Kevin H., O' Shaughnessy et al. hanno dimostrato che una mutazione del gene che codifica per il Fattore V di Leiden, oltre a predisporre la paziente a gravi complicanze ostetriche come infarti placentari, distacco intempestivo di placenta, trombosi venosa profonda ed embolia polmonare, predispone anche alla preeclampsia. Le placente di pazienti preeclamptiche si presentano ridotte di volume; il loro quadro anatomopatologico è caratterizzato da microtrombosi diffuse con zone infartuate, più o meno estese, e da calcificazioni. Questa osservazione ha portato i ricercatori ad indagare sui fenomeni apoptotici a carico del trofoblasto conseguenti all'ischemia placentare.
Gli effetti della pressione arteriosa alta possono essere lievi o gravi. L’ipertensione può danneggiare i reni della madre ed altri organi e può causare basso peso alla nascita o parto prematuro. Nei casi più gravi la madre sviluppa preeclampsia, anche chiamata gestosi, che può mettere a repentaglio la vita sia della madre sia del feto.
La gestosi è una condizione che inizia a svilupparsi in genere dopo la 20a settimana di gravidanza ed è correlata all’aumento della pressione sanguigna e delle proteine nelle urine della madre (come risultato di problemi renali). La preeclampsia colpisce la placenta e può colpire i reni della madre, fegato e cervello. Quando la gestosi provoca crisi epilettiche, la condizione è nota come eclampsia, la seconda causa di morte materna negli Usa. La preeclampsia negli Stati Uniti è anche una delle principali cause di complicanze fetali, tra cui basso peso alla nascita, parto prematuro e morte del feto.
Non esiste alcun modo dimostrato di prevenire la gestosi, la maggior parte delle donne che sviluppano segni di preeclampsia, comunque, sono strettamente monitorate per attenuare o evitare i problemi connessi. L’unico modo per risolvere la preeclampsia è quello di far nascere il bambino.
I problemi di pressione sanguigna si verificano in percentuale variabile tra il 6% e l’8% di tutte le gravidanze negli Stati Uniti, circa il 70 per cento dei quali per le prime gravidanze.
Anche se la percentuale di gravidanze con ipertensione gestazionale ed eclampsia è rimasto circa lo stesso negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni, il tasso di preeclampsia è aumentato di quasi un terzo. Questo aumento è dovuto in parte ad un aumento del numero di madri anziane e di nascite gemellari, in cui la gestosi si verifica più frequentemente. Ad esempio, secondo il Centro Nazionale di Statistica della Salute americano, nel 1998 i tassi di natalità tra le donne di età 30-44 anni e il numero di nascite da donne di età di 45 anni e oltre sono stati ai massimi livelli rispetto ai precedenti 3 decenni.
I soggetti a maggior rischio di sviluppo della gestosi sono:
Donne con ipertensione cronica (ipertensione prima della gravidanza).
Donne che hanno sviluppato ipertensione o preeclampsia durante una precedente gravidanza, soprattutto se queste condizioni si sono verificate all’inizio della gravidanza.
Donne che prima della gravidanza sono obese.
Donne in gravidanza di età inferiore a 20 anni o di età superiore ai 40.
Donne in attesa di un parto gemellare.
Donne con diabete, malattie renali, artrite reumatoide, lupus o sclerodermia.
Purtroppo, non esiste un test unico per prevedere o diagnosticare la gestosi. I sintomi fondamentali sono:
aumento della pressione del sangue,
aumento delle proteine nelle urine (proteinuria).
Altri sintomi che sembrano verificarsi spesso in caso di gestosi sono:
mal di testa persistente,
visione offuscata o sensibilità alla luce,
dolore addominale.
Tutte queste sensazioni possono essere causate anche da altri disturbi, ma possono verificarsi anche in gravidanze sane. Regolari visite aiutano il ginecologo a monitorare la pressione sanguigna ed il livello di proteine nelle urine, per ordinare e analizzare gli esami del sangue che rilevano i segni di gestosi e a monitorare lo sviluppo del feto più da vicino.
Gli effetti della pressione sanguigna alta durante la gravidanza variano a seconda di diversi fattori. La gestosi non aumenta in genere nella donna il rischio di sviluppo di ipertensione cronica o altri problemi cardiaci correlati ed in genere nelle donne con pressione arteriosa normale che sviluppano preeclampsia dopo la 20a settimana della prima gravidanza, le complicanze a breve termine, tra cui l’aumento della pressione sanguigna, di solito scompaiono nel giro di circa 6 settimane dopo il parto.
Alcune donne, tuttavia, possono avere più probabilità di sviluppare la pressione alta o altre malattie cardiache più avanti nella vita. Sono necessarie ulteriori ricerche per determinare gli effetti a lungo termine sulla salute dei disturbi ipertensivi in gravidanza e per meglio sviluppare metodi per individuare, diagnosticare e trattare le donne a rischio per queste condizioni.
Anche se la pressione alta e i disturbi correlati durante la gravidanza possono essere seri, la maggior parte delle donne con pressione alta e coloro che sviluppano gestosi hanno gravidanze di successo.
Poiché numerosissime casistiche raccolte nel corso degli anni dimostrarono l'aspecificità degli edemi (appannaggio di numerosissime gravidanze fisiologiche e perfino assenti in alcune forme severe di gestosi), si è deciso di modificare la denominazione della sindrome e di darne una definizione ed una classificazione più aderente alla realtà clinica, comprendendola nel più grande ambito dei fenomeni ipertensivi che possono interessare la paziente gravida.
La preeclampsia-eclampsia deve essere distinta da molte altre patologie, quali l'ipertensione cronica, la malattia renale cronica, le neuropatie associate a convulsioni, la porpora trombotica trombocitopenica, la sindrome da anticorpi antifosfolipidi e la sindrome emolitico-uremica. Deve essere sempre presa in considerazione nelle donne gravide dopo la ventesima settimana di gestazione. La diagnosi risulta difficile in presenza di una patologia preesistente come l'ipertensione.
La complicanza più grave della preeclampsia è l'eclampsia. Studi effettuati nel Regno Unito riportano un'incidenza di 1 caso su 2000 gravidanze, con associata mortalità materna dell'1,8%. La sindrome HELLP è più comune (circa 1 su 500 gravidanze), ma anch'essa è rischiosa per la vita e rappresenta un'emergenza medica che richiede la pronta interruzione della gravidanza. L'emorragia cerebrale che può verificarsi in caso di eclampsia è potenzialmente letale.
L'espletamento del parto sembra essere l'unica terapia realmente efficace nel ridurre l'ipertensione materna e questo conferma ulteriormente il ruolo della placenta nel determinismo di questa patologia.
In alcuni casi, il solfato di magnesio può essere utilizzato per via endovenosa nelle donne con preeclampsia-eclampsia per prevenire le convulsioni, stabilizzandone temporaneamente le condizioni cliniche; nel contempo si usano corticosteroidi per promuovere la maturazione polmonare del feto. L'uso del solfato di magnesio è stato proposto fin dal 1955 L'evidenza clinica che ha supportato l'uso del solfato di magnesio è giunta dallo studio MAPGIE. Quando il parto deve essere indotto prima della trentasettesima settimana di gestazione, è opinione condivisa che vi siano per il neonato dei rischi aggiuntivi legati alla prematurità, che richiedono particolare attenzione.
Dagli studi effettuati è emerso che né i supplementi proteico-calorici, né la riduzione delle proteine nella dieta hanno effetti sull'incidenza della preeclampsia. Altri studi riguardanti la supplementazione dietetica con antiossidanti, come le vitamine C ed E, non hanno dimostrato effetti protettivi sull'incidenza di preeclampsia. Secondo i ricercatori Padayatty and Levine del National Institute of Health statunitense, tuttavia, nello studio precedentemente citato era stato sottovalutato l'effetto di sostanze come l'acido ascorbico, le cui concentrazioni plasmatiche non erano state riportate dagli autori e potevano quindi essere simili tra il gruppo di trattamento e quello di controllo. Inoltre le dosi somministrate, pari a un grammo al giorno, sempre secondo i due ricercatori sarebbero state insufficienti ad aumentare adeguatamente i livelli plasmatici e intracellulari di ascorbato e gli studi avrebbero dovuto prevedere dosaggi più alti di vitamina C per mostrarne gli effetti benefici. Anche bassi livelli di vitamina D potrebbero costituire un fattore di rischio per la preeclampsia. La supplementazione di calcio in donne con basse concentrazioni di questo elemento nella dieta non riduce l'incidenza di preeclampsia, ma diminuisce la frequenza di complicanze gravi. Bassi livelli di selenio nel sangue sono associati con una maggiore incidenza di preeclampsia rispetto ai controlli. Anche per altre vitamine è stato dimostrato un ruolo nell'incidenza delle malattia.
La prevenzione della preeclampsia con acido acetilsalicilico (Aspirina) è ancora oggetto di dibattito per quanto riguarda l'efficacia e la posologia. Generalmente si utilizza nelle donne a rischio, a dosaggi di 60-150 mg/die. Questo approccio è basato sull'osservazione che l'acido acetilsalicilico a bassi dosaggi inibisce l'aggregazione piastrinica e favorisce lo stato vasodilatativo. Gli studi compiuti, però, non danno risultati univoci.
In maniera favorevole, pur con precise indicazioni, si sono espressi l'American college of obstetricians and gynecologists, la World health organization, il National institute for health and clinical excellence, l'American heart association, l'American stroke association e l'American academy of family practice.
Uno studio scientifico del 2000, e studi successivi, hanno suggerito che una maggiore esposizione allo sperma del partner (sia tramite ingestione da fellatio che attraverso altre modalità di rapporto sessuale) da parte delle gestanti può ridurre il rischio della sindrome preeclamptica e quindi dell'eclampsia.
Ciò sembrerebbe legato all'induzione di un fattore di tolleranza per l'HLA (complesso maggiore di istocompatibilità) del feto, che si presenta a tutti gli effetti come un "corpo estraneo" per il sistema immunitario materno, tramite l'ingestione di HLA paterno contenuto nel liquido seminale.
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