mercoledì 6 gennaio 2016

IL DOLORE NEUROPATICO



Il dolore neuropatico è dovuto a un danno nella trasmissione dell'impulso nervoso, che non si disattiva mai.
Si manifesta come punture di spilli, scosse elettriche, bruciore continuo, parestesie, allodinia.
Può essere secondario a ictus, tumori, traumi fisici o infezione da Herpes.
Le neuropatie periferiche sono spesso complicanze di AIDS o diabete. Dei tipi di dolore, è il più difficile da curare, e spesso è irreversibile.
La maggior parte dei malati, specialmente quelli affetti da dolore cronico, presentano una sindrome mista (dolore neuropatico e somatico).
A differenza del dolore somatico, che proviene da terminazioni nervose particolari (i sensori del dolore situati nella cute) e si avverte attraverso un danneggiamento dei tessuti, il dolore neuropatico proviene direttamente da una disfunzione dei nervi e non implica un danneggiamento in corso.
Un esempio tipico di una sindrome mista somatico/neuropatica è la compressione di un piccolo nervo della spina (neuropatico) che porta ad uno spasmo del muscolo (somatico). Il corpo reagisce al dolore proteggendo la zona attraverso lo spasmo che provoca un dolore muscolare nella zona come una qualsiasi reazione ad un’infiammazione. Mentre il paziente percepisce un dolore muscolare, l’origine patologica può essere neuropatica.
Parte del talamo e la corteccia sensitiva sono le principali zone del cervello dove il dolore neuropatico è percepito.
Due tipi di dolori delle fibre discendenti del sistema di controllo primario provengono dall’ipotalamo e dalla sostanza grigia periacqueduttale e sono mediati da diversi neurotrasmettitori inclusi i sistemi noradrenergici e serotonergici. Alcune terapie farmacologiche principali per il dolore neuropatico agiscono in modo specifico sui suddetti sistemi.
Il sistema noradrenerigico può anche essere coinvolto nel controllo del dolore in quelle situazioni di dolore severo (per esempio correre all’interno di un edificio in fiamme per salvare un bambino). I terminali nervosi nocicettori segnalano il dolore, ma il cervello non lo registra. Questi sono meccanismi che hanno una durata breve e perdurano solo nell’arco della durata dell’emergenza, ma possono essere gli stessi meccanismi che agiscono nella terapia di distrazione (per esempio chiusura dei nociricettori primari delle fibre afferenti).

Le strategie per curare il dolore neuropatico sono miste: la principale terapia per la cura del dolore neuropatico consiste nella somministrazione di analgesici, seguita da agenti neuroattivi.
Ci sono diverse classi di co-analgesici (adiuvanti) efficaci, compresi gli antidepressivi, gli anticonvulsanti, gli antispasmodici, gli anestetici locali e gli adrenergici agonisti. In generale, i farmaci neurolettici non sono risultati efficaci.
Anche la medicina complementare o alternativa è stata chiamata in aiuto.
Di sicuro, un dolore cronico aumenta la depressione e la depressione provoca amplificazione del dolore.
Il dolore cronico infligge un peso sia emotivo che sensitivo sui pazienti ed entrambi debbono essere considerati ed indirizzati per poter assicurare risultati positivi. La maggior parte dei pazienti che soffrono di dolore neuropatico beneficiano di un miglioramento allorquando i neurologi applicano un approccio terapeutico olistico.




Secondo un ampio studio internazionale circa un paziente su 10 tra quelli che subiscono un ictus ischemico svilupperà una nuova sindrome da dolore cronico, che potrebbe aumentare il rischio di declino cognitivo e funzionale.

In questo studio, infatti, il 10,6% dei pazienti ha dichiarato di aver sviluppato un dolore cronico dopo il primo ictus. Inoltre, quelli che hanno riferito di avere un qualunque tipo di dolore post-ictus hanno mostrato una maggiore probabilità (più che raddoppiata) di andare incontro a un calo significativo dell’autonomia funzionale rispetto ai pazienti che non hanno avuto dolore, indicato da un aumento di almeno un punto del punteggio della scala di Rankin modificata.

E il declino cognitivo, definito come una riduzione di almeno due punti del punteggio del Mini-Mental State Examination, è risultato più frequente nei pazienti che hanno sviluppato neuropatia periferica e dolore dovuto a spasticità degli arti o sublussazione della spalla .

"I nostri risultati mostrano che le nuove sindromi da dolore cronico sono un'importante complicanza a lungo termine dell’ictus ischemico, anche nei pazienti che hanno avuto un ictus lieve o moderato” scrivono gli autori, guidati da Martin O'Donnell, della McMaster University di Hamilton, in Ontario.

Pertanto, aggiungono i ricercatori, “studi clinici volti a prevenire le sindromi algiche post-ictus, sembrerebbero essere un obiettivo evidente della futura ricerca clinica".

Le sindromi da dolore cronico sono segnalate di frequente nei pazienti reduci da un ictus ischemico, ma gli studi epidemiologici finora disponibili sono stati fatti su coorti di piccole dimensioni e con un follow-up relativamente breve, per cui non è facile quantificare il fenomeno e le stime di prevalenza variano dall’8% al 55%.

Per avere un quadro più preciso, O'Donnell e colleghi hanno esplorato il problema, valutando la prevalenza, i fattori di rischio e le conseguenze cliniche delle sindromi algiche post-ictus nei pazienti dello studio PRoFESS, un trial che ha confrontato la combinazione di aspirina e dipiridamolo a rilascio prolungato rispetto a clopidogrel e telmisartan e rispetto al placebo per la prevenzione secondaria dell’ictus in più di 20.000 pazienti che avevano avuto di recente un ictus ischemico.

L'analisi si riferisce ai 15.754 pazienti che non avevano alle spalle una storia di dolore cronico prima dell’ictus iniziale.

Lo 0,6% dei partecipanti ha riferito di provare più di un tipo di dolore. Il sottotipo più comune di dolore cronico era il dolore neuropatico (40% dei casi), che comprende, tra gli altri, sintomi quali sensazioni di bruciore o di ‘aghi e spilli’. Nell’ambito del dolore neuropatico, quello più comune è stato il dolore centrale post-ictus (2,7%), seguito da neuropatia periferica (nell’1,5% dei casi), dolore da spasticità degli arti (1,3%), dolore da sublussazione della spalla (0,9%) e altri tipi di sindromi dolorose (3,9%).

Tra i fattori predittivi di dolore post-ictus sono stati identificati una maggiore gravità dell’ictus, il sesso femminile, il consumo di più di 14 drink alcolici al mese, l’uso di statine, il diabete mellito, la presenza di sintomi depressivi al basale e una vasculopatia periferica.

Inoltre, i pazienti che hanno sviluppato dolore cronico post-ictus hanno mostrato tassi superiori di declino funzionale (13,7% contro 8,7%) e di declino cognitivo (19,2% contro 15,2%).

Invece, non sono emerse differenze significative nelle percentuali di recidiva di ictus o di infarto miocardico a seconda dello sviluppo di dolore cronico oppure no.

Nella discussione gli autori avvertono, tuttavia, che i risultati potrebbero non essere estrapolabili ai pazienti con ictus più gravi o con emorragie intracerebrali, visto che la coorte dello studio PRoFESS comprendeva solo individui che avevano avuto ictus ischemici di gravità lieve-moderata.

Altri limiti dello studio, segnalano i ricercatori, consistono nell’assenza di informazioni sui tipi di farmaci usati come analgesici, nel fatto che il dolore post-ictus è stato valutato in un unico momento verso la fine dello studio, nella mancanza di informazioni sulla posizione neuroanatomica dell’ictus ischemico e nell'impossibilità di determinare un nesso causale nella relazione tra il dolore e il declino cognitivo e funzionale.




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