Sigmund Freud afferma che la nevrosi dipende da disposizioni innate, comuni a tutti gli uomini, che si manifestano in modo spontaneo se non interviene la repressione da parte della società. Il confine tra normalità e perversione dipende quindi unicamente dall’efficacia o meno della repressione delle pulsioni sessuali, che sono presenti in tutti gli individui. La normalità è semplicemente il risultato di una repressione che indirizza la sessualità verso mete ritenute accettabili. Un eccesso di repressione inibisce la pulsione sessuale, che allora si manifesta attraverso sintomi nevrotici accentuati; una repressione insufficiente, al contrario, lascia le pulsioni originarie libere di esprimersi in forme definite “perverse” dalla società.
La follia, in quanto si allontana dal controllo della ragione, lascia trapelare il fondo irrazionale dell’uomo. La sua essenza più profonda è celata, repressa dalle convenzioni sociali.
La presenza di elementi diversi all’interno dell’individuo, è al centro dell’analisi freudiana. Secondo Freud l’uomo è scisso in diverse componenti IO, ES, SUPER-EGO. L’Ego è la parte cosciente della personalità, l’insieme delle dinamiche di cui il soggetto è consapevole; l’Es è l’inconscio animato da pulsioni sessuali e distruttive incompatibile con la morale e con la vita sociale, oltre che dall’insieme delle rimozioni; il Super-io, anch’esso inconscio, cioè l’interiorizzazione delle norme morali, che ha funzione di controllo.
L’Es è separato dall’Io da una barriera che in condizioni normali impedisce una comunicazione diretta. Gli scambi tra i due sistemi avvengono attraverso il Super-io che opera un’azione di censura nei confronti del materiale inconscio. Per superare questa censura, i contenuti inconsci assumono solitamente una forma simbolica che ne impedisce un immediato riconoscimento, come avviene per i sogni. Oltre alle pulsioni sessuali, l’Es contiene anche le esperienze coscienti ritenute negative e pertanto rimosse dal soggetto. Il rimosso, seppur estromesso dall’Io, rimane attivo, stabilisce con gli altri elementi inconsci un insieme di dinamiche che si manifestano attraverso la nevrosi. Da considerarsi quindi sintomi di processi compressi.
Di personalità multipla si è cominciato a parlare all’inizio del 1800, quando la psicologia e la sociologia hanno cominciato ad interessarsi alla mente degli esseri umani ed al mistero del suo funzionamento, cosa che fino ad allora era stato argomento più attinente alla religione che alla scienza; da allora sono stati descritti in letteratura non più di 300 casi ‘certi e documentati’, ma ciò nonostante questa psicopatologia ha sempre avuto grande fascino, sia sugli ‘psic’ sia sugli autori di letteratura, cinema o fiction televisiva, perché argomento sicuramente ‘di confine’ fra scienza e fantascienza.
Il primo caso descritto in letteratura di ‘personalità multipla’ è del 1816: è il caso di Mary Reinolds, una donna che, senza alcun tipo di preavviso, cadeva in un sonno profondo che si protraeva per diverse ore, dal quale si risvegliava mostrando una personalità completamente diversa da quella di base, come se due persone distinte si alternassero in lei, ognuna ignara dell’altra. Altri casi furono descritti nel 1830 e nel 1845.
Nel 1901, attraverso il caso di Miss Beauchamp venne introdotto nella letteratura medica il concetto di ‘personalità multipla alternante’ (la paziente mostrava di essere in alcuni casi remissiva e moralista, in altri ambiziosa e aggressiva).
Il medico che l’aveva in cura, Morton Prince, servendosi dell’ipnosi, evidenziò anche una terza personalità sotto il nome di Sally e spiegò queste alterazioni della personalità postulando l’esistenza di un meccanismo cerebrale responsabile.
Nel 1911 fu introdotto nella medicina psichiatrica la diagnosi di ‘schizofrenia’ il cui sintomo principale era la ‘dissociazione’ dell’affettività del soggetto, dei suoi comportamenti, del suo stile di pensiero, del tutto insolito e scorretto da un punto di vista logico.
Con l’individuazione di questa nuova sindrome, per circa 80 anni non si parlò più di ‘personalità multipla’, in quanto le sue manifestazioni venivano conglobate nel concetto di ‘schizofrenia’, nelle sue diverse forme.
Essa ricomparve come categoria diagnostica negli anni ’80, nel DSM III R dell’American Psychiatric Association, , dopo una serie di pubblicazioni che avevano contribuito a risvegliare l’interesse su questa materia. Veniva elencata nei ‘disturbi dissociativi’ e descritta come ‘disturbo dissociativo di identità’ abbreviato anche come DMP : con questo atto, la psichiatria medica riconosceva ufficialmente la possibile presenza, in uno stesso individuo, di più identità o stati della personalità ben distinti, indipendenti dalla volontà del soggetto, aventi una propria modalità di percepire l’ambiente, di relazionarsi ed interagire con gli altri.
La personalità si forma dal patrimonio neurobiologico ereditario e dall’adattamento di questo patrimonio personale alle esigenze socioculturali dell’ambiente: da questa integrazione dinamica si determina la ‘singolarità’ della persona nei suoi aspetti intellettivi, emotivi, volitivi, così come nel suo modo di rapportarsi agli altri.
Si parla invece di ‘personalità multipla’ quando la personalità è scissa in due, tre (ma anche molte di più) tipologie di carattere, completamente indipendenti fra loro e a volte contrastanti, che convivono nella stessa persona.
Le differenze fra le diverse personalità non riguarderebbero anzitutto solamente gli aspetti intrapsichici, ma anche quelli somatici, relativamente alle malattie del corpo, ai comportamenti sessuali, attitudinali, culturali ecc.
Il passaggio da una personalità all’altra è descritto come rapidissimo, da qualche secondo a qualche minuto, oppure graduale (giorni, mesi). In alcuni casi le differenti personalità coesistenti nella stessa persona sembrano conoscersi reciprocamente e rapportarsi come amiche, compagne o avversarie.
Il passaggio da una personalità all’altra sembra favorito da uno stato di conflitto fra esse, soprattutto se stimolato dall’ipnosi, o dall’assunzione di farmaci. Il disturbo insorgerebbe nell’infanzia e tenderebbe a durare nel tempo, tendendo gradualmente a diminuire nei cambiamenti ed a stabilizzarsi su una sola personalità.
Secondo la psicoanalisi la persona mantiene, durante la sua vita,una piena consapevolezza solamente su alcune parti delle sue esperienze e conoscenze, mentre altri ricordi o rappresentazioni del Sé considerati ‘inaccettabili’ a livello intrapsichico vengono mantenuti in compartimenti separati, affinché non entrino in conflitto fra loro e non causino alla persona la perdita di controllo della propria vita.
Il meccanismo che normalmente la persona utilizza per difendersi da questa conflittualità intrapsichica è la ‘rimozione’, ovvero il trasferimento nell’inconscio dei contenuti ‘indesiderabili’, come in un travaso orizzontale, dove ciò che non trova spazio in un contenitore cade in un vaso di raccolta sottostante.
Un altro meccanismo di difesa è la dissociazione, che ha anch’esso lo scopo di creare una barriera fra quello che si vuole conservare e quello che si vuole escludere dalla propria coscienza: il trasferimento avviene in questo caso in senso verticale, con lo stesso principio dei vasi comunicanti, per cui si creano più coscienze parallele.
La personalità multipla dunque potrebbe essere definita come la conseguenza di una dissociazione di una parte dei contenuti della mente, a scopo adattivo, per gestire situazioni particolarmente traumatiche e stressanti, (ad esempio un incidente, un abuso sessuale o fisico vissuto nell’infanzia, il fallimento delle relazioni familiari ecc), verso le quali il soggetto non sarebbe stato in grado di far fronte con i suoi consueti modi di affrontare la realtà, specie se avvenute nei primi anni di vita.
La creazione di personalità multiple potrebbe essere la conseguenza di una forma elaborata di rifiuto di certi contenuti psichici, per consentire la salvaguardia di un nucleo sano del Sé, riferendo tutto il vissuto negativo ad altre persone diverse da sé.
Non a caso il problema insorge in genere nell’infanzia, quando è abbastanza comune abbandonarsi a ricche produzioni fantastiche, che includono la presenza di amici o nemici immaginari
Un altro caso di disturbo dissociativo è rappresentato dalla Fuga Dissociativa, caratterizzata dall’allontanamento improvviso e inaspettato da casa o dall’abituale posto di lavoro, accompagnato dalla incapacità di ricordare il proprio passato e da confusione circa la propria identità personale, oppure dalla assunzione di una nuova identità. Durante questi episodi, che possono durare da poche ore ad alcuni giorni o mesi, il soggetto può apparire perplesso o disorientato, mostrando cioè segni di uno stato alterato di coscienza.
Nell’Amnesia Dissociativa vi è invece una incapacità di rievocare importanti notizie personali, che è usualmente di natura traumatica e stressogena, e che risulta anch’essa troppo estesa per essere spiegata con una normale tendenza a dimenticare. Spesso anche questa incapacità di rievocare un periodo della propria vita passata si verifica insieme a segni di un disturbo della coscienza: perplessità, disorientamento, derealizzazione.
Quest’ultimo sintomo si può avere anche in associazione al Disturbo di Depersonalizzazione, caratterizzato dal sentimento persistente o ricorrente di essere staccato dal proprio corpo o dai propri processi mentali, mentre rimane buono il contatto con la realtà. La persona avverte all’improvviso un allarmante cambiamento nel sentimento generale della propria realtà e identità, espresso a livello di percezione, o della propria corporeità o dell’esperienza mentale (emotiva, di pensiero, di memoria o di volizione). Ci si può sentire cioè come un automa, oppure come se si vivesse in un sogno o in un film. Può esserci la sensazione di essere un osservatore esterno dei propri processi mentali, del proprio corpo o di parti di esso. Vari tipi di anestesia sensoriale, mancanza di reazioni affettive, e la sensazione di perdere il controllo delle proprie azioni sono spesso presenti.
Per finire, ed è il caso forse più frequente, abbiamo il Disturbo Dissociativo Non Altrimenti Specificato, in cui è presente un sintomo dissociativo che però non è sufficiente a poter porre una delle diagnosi sopradescritte. Sono i casi in cui vi è, per esempio, solo derealizzazione, oppure le trance da possessione tipiche di certe culture, oppure singoli episodi di alterazione della coscienza o della memoria, ed altro ancora. Alcuni sintomi dissociativi sono presenti anche nel Disturbo Post-Traumatico da Stress o nel Disturbo Somatoforme o nei Disturbi di Conversione.
Lo scopo della terapia è quello di permettere l’integrazione delle parti scisse del Sé. I tempi sono lunghi (anni), soprattutto per via delle resistenze e dei meccanismi di difesa messi in atto dal soggetto.
Il trattamento farmacologico è secondario alla psicoterapia e prevede l’utilizzo di antidepressivi, ansiolitici e stabilizzatori dell’umore.
Il trattamento deve orientarsi verso l’integrazione graduale dei vissuti traumatici del soggetto, così che l’immagine di Sé precostituita possa lentamente assimilare il Sé traumatizzato, imparando a rievocare il proprio passato e a vivere la propria identità personale in maniera meno confusa.
Per risolvere la dissociazione, il trauma deve essere guardato apertamente, anche nei suoi eventuali risvolti di colpa o di vergogna, avendo l’accortezza di non esporre troppo precocemente il paziente a ricordi per lui intollerabili. La terapia deve essere graduale e per questo l’ipnosi si presta molto bene, per le sue caratteristiche di accendere e spegnere i ricordi con una certa facilità..
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