L'ictus (“colpo” in latino o stroke in lingua inglese), conosciuto anche come apoplessia, accidente cerebrovascolare, insulto cerebrovascolare, o attacco cerebrale, si verifica quando una scarsa perfusione sanguigna al cervello provoca la morte delle cellule. Vi sono due tipi principali di ictus, quello ischemico, dovuto alla mancanza del flusso di sangue e quello emorragico causato da un sanguinamento ed entrambi portano come risultato una porzione del cervello incapace di funzionare correttamente. I segni e i sintomi di un ictus possono comprendere, tra gli altri, l'incapacità di muoversi o di percepire un lato del corpo, problemi alla comprensione o all'esprimere parole o la perdita di visione di una parte del campo visivo. Se i sintomi durano meno di una o due ore, l'episodio viene chiamato attacco ischemico transitorio (TIA). Gli ictus emorragici possono essere associati ad un forte mal di testa. I sintomi possono essere permanenti e le complicanze a lungo termine possono includere polmonite o una perdita di controllo della vescica.
L’ICTUS cerebrale in Italia rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, e la prima causa assoluta di disabilità: un triste primato.
In Italia ogni hanno circa 185.000 persone vengono colpite da ICTUS cerebrale. Di queste 150.000 sono i nuovi casi mentre 35.000 sono gli ICTUS che si ripetono dopo il primo episodio.
L’incidenza è proporzionale all’età della popolazione: è bassa fino a 40-45 anni, poi aumenta gradualmente per impennarsi dopo i 70 anni.
Infatti il 75% dei casi di ICTUS colpisce le persone con più di 65 anni. L’incidenza media (cioè i nuovi casi registrati ogni anno nella popolazione generale) è di circa 220 casi su 100.000 abitanti, raggiungendo valori di 280 casi nella popolazione ultraottantenne. Ciò significa che ogni anno un medico di famiglia italiano assiste almeno 4-7 pazienti che vengono colpiti da ictus cerebrale e deve seguirne almeno una ventina sopravvissuti con esiti invalidanti.
Il 10-20% delle persone colpite da ICTUS per la prima volta muore entro un mese ed un altro 10% entro il primo anno.
Fra le restanti, circa un terzo sopravvive con un grado di disabilità spesso elevato, tanto da renderle non autonome; un terzo circa presenta un grado di disabilità lieve o moderata che gli permette spesso di tornare al proprio domicilio in modo parzialmente autonomo e un terzo, i più fortunati o comunque coloro che sono stati colpiti da un ictus in forma lieve, tornano autonomi al proprio domicilio.
Si calcola che la spesa per la fase acuta (ricovero) dell’ICTUS rappresenti solo un terzo del totale della spesa dovuta alla malattia. Più elevato è il costo causato dall’invalidità, che rimane dopo l’ICTUS per la necessità di ricovero in strutture assistenziali, perdita del lavoro, impegno della famiglia.
L’invalidità permanente delle persone che superano la fase acuta di malattia determina negli anni successivi una spesa che si può stimare intorno ai 100.000 euro.
Sotto l’aspetto psicologico personale e familiare poi, i costi sono ingenti e non facilmente calcolabili.
L’improvvisa sofferenza delle cellule nervose può avvenire per due motivi:
La chiusura di una arteria cerebrale che impedisce il passaggio del sangue.
Si parla in questo caso di ischemia cerebrale: le cellule nutrite da quell’arteria subiscono un infarto e vanno incontro a morte cellulare (o necrosi). L’ischemia cerebrale rappresenta l’85% di tutti i casi di ICTUS cerebrale. Un’arteria si può chiudere perché si forma un coagulo (detto trombo) al suo interno o, spesso, su un’irregolarità preesistente della parete dell’arteria stessa (la placca ateromasica) e si parla in tal caso di trombosi cerebrale; oppure perché è raggiunta da coaguli partiti da lontano (detti emboli) solitamente dal cuore o dalle grosse arterie del collo, già colpite da placche ateromasiche in questo secondo caso si parla di embolia cerebrale.
L’improvvisa rottura di un’arteria cerebrale, causata di solito da elevati valori di pressione arteriosa.
Si parla allora di emorragia cerebrale. Questa rappresenta soltanto il 15% dei casi di ICTUS cerebrale. Quando un’arteria si rompe, le cellule cerebrali soffrono non solo perché non ricevono più sangue, ma anche perché il sangue, sotto pressione, comprime il tessuto cerebrale circostante. L’emorragia cerebrale è causata dalla rottura di una piccola arteria profonda (tipica dell’anziano) o dalla rottura di un’aneurisma cerebrale (tipica del giovane). In entrambi i casi l’ipertensione arteriosa gioca un ruolo cruciale.
Vi sono poi cause minori di ICTUS cerebrale, che colpiscono soprattutto il giovane, come i difetti congeniti della coagulazione del sangue, le malattie reumatologiche, la presenza di un piccolo foro tra i due atri del cuore (pervietà del forame ovale).
In soggetti con pervietà del forame ovale possono formarsi piccoli trombi a livello del forame stesso che passano poi nel circolo sanguigno e raggiungono l’encefalo potendo dare eventi ischemici.
Ciò succede spesso in coloro che già presentano la tendenza ad una maggiore coagulazione del proprio sangue (detta trombofilia); fra le cause principali di trombofilia vi è l’assunzione della pillola estro-progestinica soprattutto se ad assumerla sono donne emicraniche e fumatrici.
L'evento acuto in genere si manifesta solo nella parte destra o nella parte sinistra del cervello, anche i sintomi sono spesso lateralizzati e includono la perdita della sensibilità in un lato del corpo o del viso, la paralisi di un lato del corpo o del viso, la perdita della vista nel campo visivo sinistro o destro, la visione sdoppiata, difficoltà del linguaggio o della articolazione delle parole, vertigini, vomito e perdita della coscienza. Si possono manifestare varie combinazioni di questi sintomi o magari uno soltanto; se l'ischemia avviene in un territorio cerebrale meno sensibile può anche non causare sintomi e passare inosservata. In molti casi l'ictus causa un danneggiamento permanente del tessuto nervoso con la conseguente permanenza dei sintomi, che possono comunque migliorare durante la terapia riabilitativa in quanto altre regioni cerebrali possono attivarsi per sostituire parzialmente la funzionalità persa. In altri casi, o nel caso siano possibili interventi farmacologici precoci, il flusso sanguigno si ristabilisce entro poco tempo, permettendo la sopravvivenza del sensibile e non rigenerabile tessuto nervoso. Una caratteristica importante di tutti i sintomi da ictus acuto è la loro manifestazione improvvisa.
L'ictus cerebrale è quasi sempre conseguenza di una patologia cronica del sistema cardio-circolatorio come l'ipertensione arteriosa, arteriosclerosi o patologia cardiaca. Mentre l'ipertensione stessa può causare un'emorragia cerebrale, nella maggior parte dei casi promuove l'arteriosclerosi che a sua volta causa una lenta ostruzione dei vasi sanguigni che alimentano il cervello (macroangiopatia dell'arteria carotidea, vertebrale, basilare, cerebrale anteriore, media e posteriore; microangiopatia di piccole arteriole intracerebrali). L'ictus ischemico avviene infine per la chiusura spontanea di un vaso arteriosclerotico oppure per coaguli (trombi) che si formano nel cuore o sulle pareti arteriosclerotiche e che si distaccano, bloccando l'apertura del vaso (tromboembolia).
Le terapie acute dell'ictus (farmaci antiaggreganti come l'aspirina, farmaci trombolitici come rTPA, fibrinolisi) hanno visto progressi significativi durante gli ultimi anni; aiutano comunque un modesto numero di pazienti, in quanto in particolare la fibrinolisi si applica soltanto in unità specializzate ('stroke units'), presenti solo in una piccola parte degli ospedali italiani. La fibrinolisi può essere attuata solo nelle prime ore dopo l'evento e dopo che sia stata esclusa un'emorragia cerebrale tramite TAC o risonanza magnetica. La terapia con acido acetilsalicilico (al dosaggio di 160-300 mg) rappresenta perciò l'unica terapia provata e raccomandata a tutti i pazienti in fase acuta se non vengono sottoposti a fibrinolisi. Di scarsa efficacia sono invece le terapie con eparina, con eccezione delle poche situazioni in cui sono indicate (dissecazione di un arteria estracraniale o stenosi carotidea di alto grado in attesa dell'intervento chirurgico).
Mentre le possibilità di intervento acuto una volta che si è manifestato l'ictus sono limitate, le possibilità di prevenzione (oppure la prevenzione di un secondo ictus una volta che sia avvenuto il primo) sono notevoli e devono essere sfruttate. Gli obiettivi principali sono la prevenzione e il controllo dell'arteriosclerosi, per cui valgono gli stessi principi utili alla prevenzione dell'infarto cardiaco:
eliminazione del fumo;
controllo dell'ipertensione con adeguamento dei farmaci in base a una registrazione della pressione di 24 ore;
diagnosi e controllo stretto di un eventuale diabete;
controllo della obesità e della lipidemia tramite esercizio fisico, dieta o farmacoterapia in base a un'analisi dettagliata delle frazioni lipidiche nel sangue;
diagnosi di eventuali occlusioni dei grandi vasi del collo e della testa tramite ecodoppler extra- e transcraniale ed eventualmente tramite angiografia;
diagnosi di aritmie cardiache tramite elettrocardiogramma di 24 ore.
La prevenzione dell'ictus cerebrale viene sostenuta da farmaci antiaggreganti (inibiscono l'aggregazione delle piastrine del sangue che formano i coaguli: acido acetilsalicilico, clopidogrel, dipiridamolo, ticlopidina) e farmaci anticoagulanti (inibiscono determinati fattori del sistema che attiva la coagulazione del sangue: warfarina). Inibendo la coagulazione, questi farmaci possono causare emorragie spontanee, per cui il loro uso va limitato alla presenza documentata di fattori di rischio cardiovascolare o alla presenza di patologia arteriosclerotica o cardiaca. La ricerca clinica recente fornisce criteri sempre più precisi per l'impiego di questi farmaci; rimangono comunque molte situazioni individuali per le quali non sono disponibili dati sufficienti. Per questo, il giudizio e la guida del medico esperto rimangono essenziali nella prevenzione dell'ictus cerebrale.
È anche compito del medico rilevare tramite una serie di domande specifiche se nel passato si siano verificati sintomi premonitori che indicano un alto rischio di ictus cerebrale e spesso danno un'ultima occasione per iniziare un programma di diagnosi e prevenzione. Questi sintomi sono simili ai sintomi di ictus sopra descritto, ma regrediscono completamente entro pochi minuti o poche ore. Sono causati da un disturbo transitorio del flusso sanguigno (TIA: transistory ischemic attacs, ischemia transitoria) che si ristabilisce in poco tempo. È essenziale riconoscere le TIA per sfruttare al massimo le possibilità di prevenzione ed evitare la manifestazione di una ischemia cerebrale più seria.
Quando gli esami diagnostici rilevano la presenza di un restringimento (stenosi) arteriosclerotico dei vasi del collo, è possibile un intervento di chirurgia vascolare (endarteriectomia o trombendarteriectomia, TEA, dell'arteria carotidea) per ripristinare il normale flusso sanguigno e asportare le placche arteriosclerotiche. Poiché l'intervento chirurgico stesso può avere complicazioni o può causare a sua volta un ictus cerebrale, è necessario valutare se il possibile beneficio è maggiore dei rischi che l'operazione comporta. Per definire meglio i rischi e i benefici, una serie di studi internazionali ha dimostrato che la terapia chirurgica dell'arteria carotidea è indicata quando le stenosi chiudono più del 70% del vaso e quando il paziente ha avuto sintomi recenti (ictus o TIA) che sono anatomicamente collegabili alla stenosi (stenosi sintomatiche). È inoltre necessario che l'intervento sia eseguito in centri specializzati con un basso rischio di complicazioni. Un grande studio recente indica un beneficio anche per l'intervento chirurgico su stenosi non sintomatiche con la condizione che debba essere eseguito in centri che operano con un basso tasso di complicazioni. Se queste condizioni non sono garantite, il rischio dell'operazione sembra maggiore di quello che hanno pazienti che si limitano a una prevenzione farmacologica. Eccezioni a queste regole sono stenosi quasi totali con la minaccia di chiusura imminente e stenosi progressive nel tempo, quando altri vasi del collo si sono già chiusi precedentemente. Quando il processo arteriosclerotico ha colpito vasi multipli, la situazione individuale di flusso sanguigno deve essere definita da un esame angiografico e la indicazione e il tipo di intervento sono da decidere da un team di neurologi e chirurgi vascolari esperto, in quanto per questi casi non esistono dati sufficienti per stabilire un progetto d'intervento secondo criteri fissi. Gli interventi chirurgici hanno come obiettivo l'asportazione del processo arteriosclerotico che restringe il vaso e non sono più possibili a occlusione avvenuta. Anche quest'ultima situazione sottolinea l'importanza delle misure di prevenzione.
La chirurgica tradizionale sulla carotide oggi viene affiancata dall'intervento di angioplastica (PTA - angioplastica transluminale percutanea) in cui un catetere inserito a livello dell'inguine viene portato fino all'arteria carotide, un palloncino gonfiabile dilata la stenosi e l'inserimento di uno 'Stent' assicura che la regione dilatata rimanga pervia. Da quando si utilizzano piccoli filtri contro eventuali embolie cerebrali, il tasso di complicanze della PTA sulla carotide sembra ridotto (mancano ancora dati certi sull'utilità effettiva dei filtri) e l'angioplastica, essendo un intervento non chirurgico e meno invasivo, trova sempre maggiore applicazione. Essendo la chirurgia ancora standard e più convalidata, la PTA oggi ancora è più ideonea per stenosi di difficile accesso chirurgico o per pazienti con un elevato rischio di complicanze perioperatorie. Sono in corso una serie di studi internazionali che comparano efficacia e sicurezza di chirurgia e angioplastica.
In caso di ictus cerebrale manifesto è importante una qualificata terapia ospedaliera per garantire le necessarie terapie di base e per avviare un programma diagnostico e una precoce terapia riabilitativa che deve mobilitare il paziente e allenare specificamente le funzioni disturbate (fisioterapia, logopedia) per ottenere il loro massimo recupero e insegnare al paziente nuove tecniche di movimento che tengono conto delle paralisi e usano al meglio gli arti paralizzati. La fisioterapia è inoltre diretta a prevenire l'irrigidimento permanente delle articolazioni, che può risultare dall'irrigidimento muscolare (spasticità) che spesso si sviluppa dopo paralisi estese. Mentre un certo grado di spasticità può essere utile per l'impiego passivo di un arto e per permettere al paziente di mantenere una posizione verticale o di camminare, una spasticità accentuata può aumentare la disabilità o può essere dolorosa. In questo caso, va trattata con farmaci spasmolitici (baclofene, clonazepam, tizanidina, dantrolene). Un ulteriore aspetto importante è che dopo un ictus cerebrale si può instaurare una maggiore labilità psichica con alterazioni del comportamento o tendenze depressive che devono essere trattate a seconda della situazione individuale, impiegando strategie di terapia psicologica supportiva e farmacologica.
La scoperta di farmaci che in modelli sperimentali di ictus cerebrale possono ridurre il danno al tessuto nervoso (farmaci neuroprotettivi) ha fatto sperare che la somministrazione precoce di questi farmaci in pazienti colpiti da ictus possa notevolmente ridurre il grado di disabilità permanente. Finora, però, nessuno di questi farmaci è stato efficace in una serie di studi clinici, che vengono comunque portati avanti e potrebbero avere un impatto drastico nel futuro della terapia acuta dell'ictus cerebrale.
Alcuni episodi riconducibili all'ictus sono stati segnalati fino dal 2° millennio a.C. nell'antica Mesopotamia e nella Persia. Ippocrate di Coo (460-370 a.C.) fu il primo a descrivere il fenomeno della paralisi improvvisa, spesso associato all'ischemia. Il termine "apoplessia", dalla parola greca che significa "colpito con la violenza", fu utilizzata negli scritti di Ippocrate per descrivere questo fenomeno, invece il termine inglese "stroke", una traduzione abbastanza letterale del termine greco, fu usato come sinonimo già nel 1599.
Nel 1658, nel suo lavoro Apoplexia, Johann Jacob Wepfer (1620-1695) identificò la causa dell'ictus emorragico osservando durante l'esame autoptico un sanguinamento nel cervello. Wepfer indoviduò anche le principali arterie che forniscono il cervello, le vertebrali e le carotido, introducendo l'ictus ischemico, noto come infarto cerebrale, suggerendo che fosse dovuto ad un blocco di tali vasi. Rudolf Virchow per primo descrisse il meccanismo della tromboembolia come un fattore importante.
Il termine di "accidente cerebrovascolare" è stato introdotto nel 1927 ed esso rifletteva una "crescente consapevolezza e l'accettazione delle teorie vascolari e (...) il riconoscimento delle conseguenze di un improvviso sconvolgimento nella fornitura sanguigna al cervello".. Il suo uso è ora sconsigliato da una serie di libri di neurologia che considerano errata la connotazione di casualità portata dalla parola "accidentt" che non evidenzia sufficientemente la modificabilità dei fattori di rischio. Insulto cerebrovascolare o ictus possono essere utilizzati in modo intercambiabile.
Nel 1970 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l'ictus come un "deficit neurologico di causa cerebrovascolare persistente oltre le 24 ore o che porta al decesso entro 24 ore", anche se la parola "colpo" è utilizzata da diversi secoli. Questa definizione riflette la possibile reversibilità del danno tissutale, mentre il periodo di tempo di 24 ore è stato scelto arbitrariamente. Tale limite temporale differenzia l'ictus dall'attacco ischemico transitorio, che è una sindrome correlata ai sintomi dell'ictus e che si risolve completamente entro 24 ore dal suo esordio. Con la disponibilità di trattamenti in grado di ridurre la gravità dell'ictus tempestivamente, molti preferiscono una terminologia alternativa: come attacco cerebrale e sindrome cerebrovascolare ischemica acuta (sul modello, rispettivamente, di infarto e sindrome coronarica acuta) in modo da riflettere l'urgenza dei sintomi dell'ictus e la necessità di agire rapidamente.
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